Vincenzo Gonnella, artefice depositario di antiche memorie

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Ricordare a venticinque anni dalla morte la figura di Vincenzo Gonnella (1901-1988), insigne artigiano-artista del ferro battuto, dello sbalzo e del cesello – anche su metalli nobili come l’argento – non vuol dire solamente fare un semplice e doveroso tuffo nel passato alla riscoperta di un personaggio che ha legato il suo nome alla nostra arte proiettata ad alti respiri. Non è solo questo che ci preme per ora evidenziare con il presente scritto, infatti, se il suo lavoro ha prodotto tanto prezioso e particolare risultato, del quale Barga sa di poterne andare fiera e orgogliosa, ce n’è un altro certamente non secondario. Un aspetto che fa sempre piacere evidenziare e porre all’attenzione, anche perché è un patrimonio spirituale che ci sta tanto a cuore: il suo spessore di uomo.

Una vita virtuosa – assieme a sua moglie Lina Pirra – che contribuì, con la sua testimonianza del bene, a rendere Barga più ricca spiritualmente e che desideriamo rilevare, perché il suo esempio sia uno stimolo a percorrerla. Unito a ciò il suo attaccamento a Barga che viveva con grande trasporto dell’anima.

Della bontà di Vincenzo ne fa fede il suo testamento ormai vedovo, dove possiamo leggere che volle donare la sua casa con tutta la biancheria al Cottolengo di Pisa, la Piccola Casa della Divina Provvidenza. Istituto dove sono accolti anziani, e soprattutto quei figli che per varie e comprensibili ragioni nessuno vuole. Vincenzo e Lina non ebbero figli e la memoria di questo gesto, che addolcisce l’anima, è molto eloquente per capire di cosa vogliamo dire.

Del suo sentirsi un barghigiano e per farlo capire, credo sia utile la seguente digressione, iniziando a dire: se è scontato che tutti si abbia nel cuore il nostro paese, la terra in cui siamo nati o nella quale stiamo vivendo, in Vincenzo, con lui poche altre persone di ieri e di oggi, quest’amore era qualcosa di più grande. Una fiamma che dentro brucia continuamente in un respiro di millenarie suggestioni; un sogno ogni volta sempre nuovo e più dolce; qualcosa di razionale e irrazionale al tempo stesso. Un amore che porta via dalle cose del vivere quotidiano, fuori dalla realtà, trasportando l’essere a confondersi con il Serico Fruscio che fanno quegli spiriti insonni che tornano come sempre sul Colle Sacro alla Storia, lassù vicino al Duomo e sull’Aringo, dove la spiritualità di Barga vive con loro e da cui ha origine e si genera questo grande amore.

Un sentimento ben sintetizzato dal poeta Mario Mazzoni, il cantore non solo della Vecchia Barga ma della Barga di sempre: Barga Amore Eterno… alla quale dedicò delle poesie, come si può solo a chi si brama e già si ama; vere e proprie lettere d’amore in versi per la Bella Signora Senza Tempo. Vincenzo era su quella lunghezza d’onda.

I suoi lavori, come detto, se lasciano intravedere quegli alti valori d’artigianato artistico da tutti riconosciuti tali, hanno in sé anche una straordinaria essenza di Barga, frutto di quell’amore or ora ricordato.

In altre parole, nel trasognato abbandono che l’anima si concede nell’ammirare quelle opere, sentiamo vivere in noi e magicamente contempliamo il gesto sacrato dei tanti Maestri, anche senza nome o seppur percettibili, dei quali se n’è persa del tutto la memoria, che nei tempi, di Barga o di fuori, pazientemente come Vincenzo o in altre arti, hanno lasciato quel tangibile segno che contribuisce a render visiva l’idealità che anima la storia di Barga.

Vincenzo nel suo Eliso, la piccola bottega oscurata dai fumi della sfavillante forgia, viveva tutto questo intimamente e lo palesava con saggia modestia ed equilibrio intellettuale, pacatamente orgoglioso di poter riversare nelle sue creazioni quell’emozione atavica, che poi sommessamente offriva ai nostri sguardi e al nostro sentire.

Come non ricordare qui qualche nome dei tanti Maestri che nei secoli si sono succeduti o percepiti esistenti e appartenenti a quell’emozione profonda? Ecco allora la memoria dell’orafo Corso di Barga, ricordato negli antichi libri appartenenti alla cancelleria del vescovato di Lucca, quando nel 1345 si dà atto al suo testamento di duecento lire. Oppure quel Giovanni Zappetta, un Turignoli di Barga, maestro di bombarde abitante tra Barga e Gallicano -l’antica fortezza appartenuta alla vicaria lucchese di Barga prima che divenisse fiorentina- ricordato nel 1395 nel Camarlingo Generale del Comune di Lucca, per i cento fiorini che riscosse per la fabbricazione di dodici bombarde.

Altri maestri si ricordano, come Casini da Barga, detto il Bargetta, che promette nel 1412 di costruire due cavalli nuovi con cosce e altri fulcimenti al tetto della Domus Magna di Bartolomeo in contrada S. Frediano.

I tanti maestri fabbri di Barga, come Giovanni Mazzangha, che nel 1471 è pagato dal Comune di Barga per aver costruito il primo degli orioli da collocarsi sul campanile del Duomo di Barga; il cinquecentesco maestro Matteo di Toto Francia, costruttore delle parti di ferro delle antiche misure di Barga collocate sotto la Loggia a Palazzo Pretorio. Maestro Matteo Coletti, che nel Settecento ricostruiva i ricercati pezzi dell’oriolo pubblico. Gli artefici delle tante cancellate o le artistiche inferriate che dall’antico o dal sec. XIX ornano i più bei palazzi di Barga. Altre memorie di vario genere, come lo scultore Pietro Simoni da Barga, che Cesare Biondi nel 1924 aveva tratto dall’anonimato locale, riconsegnandolo alla sua storia nel bell’articolo su Pascoli a Barga, pubblicato nel libro che Lucca volle dedicare nel 1924 al grande Poeta. Non si lascino indietro i diversi pittori storici: Piero Baricchi, Baccio Ciarpi e altri.

Tutta una serie di emozioni cui si univa il ricordo di Bolognino di Ser Barghesano da Barga, che agli inizi del sec. XIV aveva portato l’arte della seta a Bologna, con lo stesso Bolognino che impiantò un moderno filatoio alle porte della Città. Arte della seta che in Barga, con quella della lana, pare avessero un certo sviluppo nel sec. XIII, tantoché la potente Societas Ricciardorum di Lucca, la quale aveva commerci con l’Europa, alle Fiere di Champagne in Francia, nel 1284 fu rappresentata, tra gli altri, da un certo Barchetta da Barga; un nome che pare capostipite della futura società dei fratelli Barca’s. (Dal libro: Castruccio Castracani e il suo tempo).

Figure delle quali forse resta solo il nome e l’arte esercitata; semplici citazioni che pensiamo utili per capire di cosa fosse ed è composta nell’arte l’idealità di Barga e che in qualche misura compendiano e avvalorano la consapevolezza di Vincenzo che la millenaria storia del suo Paese aveva avuto tanta maestria di cui andare fieri e appassionante la volontà di progredire nel segreto dell’arte per esserne degni depositari.

Tutto però non può essere ristretto in questo, sia pur ampio respiro del passato, perché anche il tempo da lui vissuto aveva certamente contribuito a incoraggiarlo. Pensiamo a quale fermento artistico e culturale ebbe la sua epoca con riferimento a Barga, che si esprimeva nelle mostre d’arte e artigianato che, per la qualità dei prodotti, tanto di sé faceva parlare.

Così, chino sul suo lavoro, sentiva uno zefiro soave venirgli incontro dalla storia e dal presente, fantastico e utile impulso per creare opere degne del buon nome di Barga.

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