Il terremoto ragionato

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Sono passati pochi giorni da quando da queste pagine abbiamo raccontato l’arrivo delle Guide in Cammino a L’Aquila, città che porta ancora segni pesanti del terremoto, e pochi mesi dall’ultima terribile scossa che ha seminato morte e distruzione in Emilia  e la terra ha tremato di nuovo.

Se la memoria non ci inganna, nell’ultimo anno il numero di scosse percepite nelle nostre zone sembra essere superiore alla media. Per capirne di più abbiamo incontrato Simone Stefani, un geologo che opera in provincia di Lucca.

“La popolazione” – ci dice – “nell’ultimo anno ha avvertito una maggiore attività sismica nella nostra zona, attività che in alcuni casi può aver generato anche una certa apprensione”. Non possiamo che annuire e confermare. “Fortunatamente” – prosegue – “non si sono verificati danni di nessun genere”.

Gli chiediamo in quale contesto si colloca questa sorta di sciame sismico e Stefani ci spiega che ciò che noi sentiamo non è altro che la propagazione di onde generate in contesti geologici posti in corrispondenza dell’Appennino settentrionale e nella parte meridionale della pianura padana. “Queste onde” – ci spiega – “sono arrivate anche a noi in quanto la presenza di terreni sciolti, tipici ad esempio della pianura padana, riduce con minor efficacia l’intensità di un sisma consentendo così la propagazione per maggiori distanze”.

Non possiamo non fare riferimento alla Garfagnana e ai timori di una sorta di “Big One” garfagnino, una scossa distruttiva che già nel 1920 provocò danni ingenti. “L’Italia si trova compressa, dal punto di vista tettonico, fra l’Europa e l’Africa, due continenti che si stanno avvicinando”, ci spiega il geologo, “ed è frazionata in due zolle più piccole, quella Tirrenica e quella Adriatica”. “Quella Tirrenica si espande verso est, mentre l’Adriatica si sta restringendo subendo un parziale scavalcamento da parte della prima”.  Scopriamo che è in quell’ordine di cose che si pone l’Appennino fra Liguria, Emilia e Toscana e che in tale contesto si trovano vere e proprie fosse tettoniche come la Garfagnana e la Lunigiana. “E’ da questo”, prosegue Stefani, “che scaturisce il rischio sismico nella valle del Serchio”.

Lo scenario peggiore a cui possiamo riferirci, per quanto riguarda la Garfagnana, è quello del terremoto del 1920 che raggiunse il IX-X grado Mercalli e una magnitudo 6.5 Richter. Alcuni villaggi dell’alta Garfagnana, come ci spiega Stefani, furono quasi completamente distrutti e una settantina di altri paesi, fra cui Fivizzano e Piazza al Serchio, subirono danni gravissimi. “Non si può escludere”, sottolinea il nostro interlocutore, “che certi territori possano essere interessati in futuro anche da intensità superiori a quelle fin ora registrate”.

A questo punto ci interessa sapere cosa possiamo fare per difenderci dal terremoto, quali accorgimenti possono migliorare la sicurezza dei luoghi in cui viviamo e lavoriamo e, a bocca  aperta, ascoltiamo i consigli di quello che è ormai diventato il nostro “geologo di fiducia”.

“L’esame dei danni riscontrati fino ad oggi” – ci dice Stefani – “insegna che il problema degli edifici non è la robustezza generale, ma una serie di dettagli e punti deboli che li rendono vulnerabili al terremoto. Una volta individuati i punti deboli è possibile intervenire in occasione di manutenzioni ai fabbricati con operazioni non particolarmente costose come, per esempio, catene, cordoli per collegare le pareti fra loro e interventi simili”. Comprendiamo che questi interventi riducono la possibilità di crollo e rendono il fabbricato più facile da riparare dopo il terremoto.

“Un’altra cosa da fare” – continua il geologo – “è predisporre gli spazi in cui viviamo al terremoto. Controllare per esempio che gli scaffali siano ben fissati alle pareti, accertarci che tutti sappiano dove sono i rubinetti dell’acqua, del gas e l’interruttore generale della corrente ed imparare come si fa a chiuderli”. In effetti, molto spesso dopo una scossa di terremoto uno dei timori è quello legato alle fughe di gas e alla presenza di cavi elettrici danneggiati in ambienti in cui si spande l’acqua.

Stefani ci ricorda che, alla luce della normativa e del buon senso,”la priorità sta nella salvaguardia delle vite umane”. Non dobbiamo quindi pensare che gli edifici possano rimanere integri dopo una forte scossa di terremoto ma che la loro deformazione programmata, per quanto possa determinare elevati costi di ricostruzione, è necessaria per salvare vite umane.

Si, concordiamo con Simone Stefani: stiamo parlando di una delle calamità più catastrofiche che può interessare il nostro territorio e la priorità è salvare vite umane.

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