Anzitutto vorrei circoscrivere l’oggetto di questo lavoro: i libri a stampa conservati presso S. Elisabetta. Il Conservatorio di S. Elisabetta possiede una propria biblioteca ma esistono più di un centinaio di libri mantenuti a parte rispetto ad essa, in un armadio ubicato nella stanza che attualmente ospita la segreteria. Ad un primo sguardo, risulta subito evidente il motivo di questa separazione: rispetto a quanto si trova in biblioteca, i suddetti volumi non esplicano le finalità educative proprie di un istituto di istruzione quale era venuto configurandosi il Conservatorio, bensì sono attinenti alla sfera religiosa e più precisamente a quella liturgica e devozionale professata in forma privata dalle monache. L’altro elemento che li contraddistingue è che più della metà di essi vanno ascritti all’area del libro antico. Quando noi parliamo di libro antico, spesso ed erroneamente confondiamo il concetto di antico con datato. In realtà l’oggetto libro antico si distingue in base ad una caratteristica ben precisa; possiamo ricomprendere in questa definizione quanto è stato realizzato tramite una lavorazione manuale, e più esattamente attraverso due operazioni: la composizione di una forma tipografica in cui sono inseriti a mano i caratteri che poi risulteranno impressi sulla pagina stampata, e l’azionamento manuale del torchio che va ad imprimere la forma alla pagina. In Italia esiste anche una data convenzionale che segna il passaggio dal libro antico a quello moderno, vale a dire il 1830, anno in cui Giuseppe Pomba introdusse nel nostro paese il torchio meccanico che spalancò le porte alla lavorazione industriale e seriale del libro. Ciò che poi concretamente distingue un libro antico dai suoi successori è che nella lavorazione poteva avere luogo il rimaneggiamento volontario o meno della forma tipografica, che si manifestava poi sulla pagina stampata con delle varianti: dunque, potenzialmente, ciascuna copia appartenente ad una medesima edizione può differenziarsi da tutte le altre. In gergo tecnico questa particolarità è definita “stato” e rende il volume non più semplice copia ma singolo esemplare: come unicum, esso acquisisce un valore immenso, sia dal punto di vista qualitativo e culturale che economico. Quasi tutti i volumi catalogati in S. Elisabetta appartengono a questa categoria.
Nonostante una formazione riferibile principalmente al campo archivistico, in ambito universitario ho avuto l’opportunità di affrontare ampiamente le problematiche inerenti il mondo del libro; in particolar modo questo lavoro ha seguito le indicazioni della dottoressa Cristina Moro, ricercatrice e docente di bibliologia presso l’Università di Pisa.
Il lavoro ha contemplato i seguenti passaggi:
in primis, per ogni volume sono stati estrapolati nome dell’autore (quando presente), titolo dell’opera, luogo di pubblicazione, nome del tipografo / editore e anno di stampa;
in seconda istanza i titoli sono stati oggetto di verifica e integrazione sul Servizio Bibliotecario Nazionale che tra i vari strumenti fornisce un catalogo collettivo di quanto le biblioteche aderenti posseggono e, idealmente, di quanto esiste di stampato in Italia;
il terzo passaggio ha visto il riordino materiale dei libri che sono stati fisicamente disposti a seconda del formato e in base all’ordine cronologico. All’interno di ogni volume è possibile reperire una scheda che rimanda al contenuto: si è preferito non procedere all’incollaggio di etichette o cartellini dato l’ottimo stato di mantenimento delle legature.
Oltre a due appendici, in calce al lavoro è stato aggiunto un elenco riguardante alcuni pezzi, di contenuto vario, conservati assieme ai libri a stampa ma manoscritti.
Concludo con alcune rapide notazioni sul materiale librario custodito e catalogato in Conservatorio. Si tratta di 122 volumi, dei quali il più antico risale al 1670. Escluso il materiale d’appendice, 6 pezzi appartengono al ‘600, mentre la stragrande maggioranza (57 pezzi) sono settecenteschi. Numerosi sono i luoghi di provenienza, tra i quali si distingue Venezia, dove sono stati stampati ben 49 di questi volumi; non scordiamo che la Serenissima, dagli albori della storia della stampa sino a Campoformio, ha ricoperto in questo settore un ruolo di primaria importanza. La maggior parte dei libri di S. Elisabetta, 53, sono liturgici: abbiamo diversi messali, breviari e corali. Dall’altra parte, assistiamo ad un uso di libri di carattere devozionale e agiografico, o comunque di volumi finalizzati alla formazione spirituale delle monache (per citare qualche titolo: La religiosa in tre stati di novizia, di professa, e di conversa; La monaca nel deserto con Cristo; L’ hore dalla monaca ben spese; La religiosa santamente occupata verso Dio, verso il prossimo, verso se stessa…). Due soli libri si distinguono in questo panorama; non a caso appartengono all’inoltrato XIX secolo e sono diretta conseguenza del sorgere dell’educandato femminile. Si tratta di una copia in francese del Quentin Durward di Walter Scott, e di un volume edito da Le Monnier dal titolo La sposa : scelta di prose e poesie di scrittori antichi e moderni intorno al matrimonio, lettura per le donzelle e donativo di nozze. Una vaga idea può fornirci quest’ultimo, di come il Conservatorio preparava le sue educande al futuro.
Lasciamo però da parte le suggestioni che questi titoli conducono con sé. Prima ho pronunciato la parola “uso”. Bisogna però qui domandarsi: venivano veramente usati questi libri? Per quanto riguarda l’ambito liturgico, è scontato rispondere affermativamente. Ma gli altri? Dal materiale d’archivio sappiamo che un regolamento del 1639, poi reiterato nel secolo successivo, parla dichiaratamente di un uso (cito testualmente): “… si leggerà a tavola sempre mentre si mangia qualche libro spirituale … alla qual lezione staranno tutte molto attente con silenzio, acciò reficiandosi il corpo, prenda anco l’anima la sua refezione, avvertendo, che i libri, che si leggeranno, siano approvati dal Confessore”. Lo stesso regolamento elenca altresì tra le “colpe medie” per cui le monache debbano essere punite quella di trascurare la conservazione dei libri dell’ente; tuttavia non si parla di altri, reali usi. La migliore testimonianza però ce la offrono i volumi stessi, costellati di note di passaggio e di lettura, e di ex libris che dimostrano che questi libri erano effettivamente letti. Le cose ovviamente cambiano con il sorgere del Conservatorio: in pieno ‘800 troviamo tra le disposizioni che: “Non si leggano, né si ritengano … libri che non siano conformi allo stato dalle suore abbracciato, e si guardi che anche nell’educatorio ogni scuola, ed ogni libro sia innocente per il cuor tenero e pericoloso delle zitelle”.
Dunque questi volumi non costituiscono solamente i “custodi di un antico sapere”, titolo che venne utilizzato pochi anni orsono per un catalogo della Bibliotheca Cathariniana di Pisa, ma uno specchio di un’epoca e di una mentalità, contribuendo nella loro inconsapevolezza ad arricchire e ricostruire la storia nostra e della nostra Barga in particolare.
Lascia un commento