Storie vissute. Un pensiero, solo uno, un pensiero suicida… Ma c’è chi dice no!

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L’incoscienza dove vive ora? Forse dove è vissuta allora. Facendo una caccia al tesoro qualcuno fortunato o meno la potrà trovare li, dove non sa, dove capita, seguendo le istruzioni. Andando contro l’obiettiva realtà della vita, si telefona, in cerca di un aiuto, sperando in un anonimo e confidenziale “amico”. Ma una voce risponde: “Attendere “prego”! Cosa in cui preghi non è dato sapere! Sembra di scalcinare tra zombi in attesa di una risposta non cosciente alla domanda che viene posta subito dopo: “Chi sei come ti chiami?” Quando l’incoscienza esplode diventa coscienza retroattiva, a richiesta. Il tutto si svolge come in un film, virtuale, immersi nell’involucro dei bip. ed ipotetico dove, dopo innumerevoli peripezie, momenti nei quali già ci si potrebbe essere suicidati, finalmente, tra “pigiare il tasto uno, due tre e via, ora reale che varia da 20 e 30 minuti e spesso senza risultato, c’è chi sta
morendo tra le lacrime, e gli altri ascoltano urla in un disinteresse sociale pigolando frasi tipo: “ma chi è, che vuole?”
E poi di nuovo premere il tasti uno, due, tre e tu crepi, non per i motivi che ti eri prefisso, ma cambi idea e uccidi il telefono virtualmente, poi lo resusciti, ma prima lo uccidi non ricordandoti di essere tu a volerti uccidere. Svenendo, vedi visi, volti, città, storia, anche la tua, tutto senza euforia, come miriadi di fili, ora spinti da una macchina e pronti, per cucire le inefandezze del mondo, come entrassero in un ago “sapendo bene la loro fine”.
In quei momenti non vorresti mangiarti le unghie, cosa per la quale si viene redarguiti sin dall’infanzia e per sempre, e così, a ritroso si scopre la propria rabbia che placa al rovescio ogni maledetto frangente di se stessi. Una frase spinge a battere la testa sul muro delle parole: “Non voglio vedermi putrefare nello specchio degli occhi altrui”. Si è più persi dopo un fottutissimo, ma rinnovabile mancato, suicidio, che essere improvvisamente coscienti della propria incoscienza e non riconoscersi visivamente chiedendosi:“L’incoscienza, dov’è e come vive ora?” Li hanno cercati, chiedendosi dove vivessero quelli della “180” che sembra una tassa, li hanno trovati piangenti, senza poter capire le loro pene come non capivano, restando sconcertati, le scelte e le obbligazioni di chi si trovava nelle Torri gemelle l’11 settembre non sapendo, non potendo decidere nulla se non con la coscienza dell’incoscienza dell’aiuto innato che ha provocato salvezza e morte al contempo.
Siamo tutti il serial Killer di noi stessi? Piangendo ci si dovrebbe chiedere, senza farsi gli affari altrui, in quale posto è finita la nostra coscienza? Cosa proveremo ora? Dopo un suicidio, ad imminenza mancato ma non definitivamente non riuscito, quanti altri traumi può provocare il vissuto? Premere il tasto…
Ci si può morire.

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