Il mondo è ancora degli uomini. Poche donne nei CdA

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Da un’indagine condotta dalla SDA Bocconi (Scuola di Direzione Aziendale Università Bocconi di Milano), è ancora l’uomo nella percentuale del 94% dei casi, laureato, che per lavoro ha cambiato mediamente due città, ad essere a capo dei consigli d’amministrazione delle aziende. L’uomo è ancora il protagonista indiscusso, che ha capacità di “networking”, essendo visibile nei circuiti delle aziende che contano. Si crea così l’identikit dei membri dei CdA (Consigli di Amministrazione) delle aziende italiane quotate in borsa, prendendo a campione 300 curricula di consiglieri di questo tipo di società. Si nota nettamente che ancora una volta le donne sono praticamente quasi escluse da questi ruoli. Si evince un modello assolutamente “maschile” predominante nell’alta dirigenza aziendale. Le donne dovrebbero quindi entrare a far parte dei consigli d’amministrazione non per questioni di “uguaglianza”, ma perché hanno sufficienti competenze e mansioni necessarie alle aziende ed al funzionamento di un CdA. Monica Pesce, board president of Professional Women’s Association dichiara la sua convinzione al riguardo. Ma ne sono convinte le donne? Ancora una volta si sostiene che malgrado l’emancipazione femminile le carriere “rosa” restano in mano agli uomini. Statali: donne supermanager solo 23%? Sembra proprio di si E’ quanto emerge dal Rapporto sulle pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche pubblicato sul sito della Funzione pubblica che cita: “Le donne fanno sempre più carriera nella pubblica amministrazione ma se il 39% ha ormai ottenuto la qualifica di dirigente solo il 23% ha raggiunto la fascia ‘top’ dei manager pubblici”. Carriera off limits per le donne in Italia: le dirigenti sono solo l’11,9% del totale, ultime in Europa, contro una media europea del 33%, e a superarci sono anche la Turchia con un 22,3% e la Grecia con un 14,6%. Anche il confronto con i paesi più avanzati e vicini ci vede largamente perdenti: in Francia le donne manager arrivano al 37,4%, nel Regno Unito al 34,9% e nella Germania al 29,3% . E’ quanto emerge da una ricerca di Manageritalia che mette in luce la scarsa partecipazione delle donne al lavoro e ancor più ai piani alti dell’economia. Guardando alle donne nei Consigli di Amministrazione delle società quotate, poi, siamo al quart’ultimo posto con un misero 3,2% rispetto a una media dell’Europa a 27 dell’11,4% e alle vette superiori al 20% di Finlandia e Svezia e all’inarrivabile 42% della Norvegia. Anche a livello imprenditoriale le cose non vanno molto bene per l’Italia visto che le donne imprenditrici sono il 23,4%, contro una media Europea superiore al 33%.
“Sono dati che purtroppo non mi stupiscono più di tanto. Sono anni che parliamo di questo problema, che oggi, in un mercato così competitivo, diventa ancora più pressante”, spiega la presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, Federica Guidi, sottolineando che “in questo momento, non dare la stessa disponibilità di tempi e orari può essere un limite, a volte anche autoimposto per esigenze familiari e per mancanza di strutture adeguate'”. La risposta a questo problema passa per “politiche conciliative: quelle che mancano in questo paese'”. Servono “supporti reali alle donne, e non parlo di asili sul posto di lavoro, ma di asili pubblici che abbiano tempi tali da consentire ad una donna di lavorare al pari degli uomini”. Sul fronte nazionale, arrivano alcune sorprese: il Nord industrializzato è decisamente più indietro sul fronte imprenditoriale ‘rosa’. Non a caso Calabria (16,2%) e Lazio (16%) sono ai primi posti per donne dirigenti, mentre agli ultimi posti si trovano Trentino Alto Adige (6,8%), Abruzzo (6,6%) e Basilicata (6,3%). A livello nazionale le donne imprenditrici sono più al Sud (25,8%) e al Centro (23,9%) che al Nord, con il Nord Est in ultima posizione (20,9%). A livello regionale poi prevalgono Molise (30,6%) e Basilicata (28,1%), con Lombardia (20,5%), Trentino Alto Adige (20,3%) e Emilia e Romagna (20,2%) buone ultime. Tra le città, poi, Napoli è al primo posto con il 26,1% di donne imprenditrici, mentre Milano è desolatamente ultima con un secco 20%. E spesso le città del Sud hanno un tasso di femminilizzazione imprenditoriale superiore a quelle del Nord.. “Questa poca femminilizzazione dell’economia, soprattutto nelle sue posizioni apicali – lamenta Manageritalia – rischia di condannare il nostro Paese ad una continua perdita di opportunità di crescita. E’ infatti indubbio che se oggi le donne sono il 58% dei laureati, perdiamo in seguito tanti di questi talenti se le donne dirigenti sono solo il 12% nel settore privato, quelle imprenditrici solo il 23% e le donne nei consigli di amministrazione poche mosche bianche” “La politica e le istituzioni devono lavorare alla costruzione di una società migliore e un po’ più a misura di donna. Ciò significa proporre maggiori servizi, sostenere il doppio ruolo che divide le donne tra occupazione e famiglia, garantire parità di trattamento fra i sessi nel mercato del lavoro, potenziare il part-time”. E’ il messaggio del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna che ha anche richiamato la necessità di “un nuovo patto intergenerazionale fondato su basi diverse, per il benessere e la coesione della società”. “Dobbiamo essere sinceri – ha proseguito il ministro – e ammettere che sulla parità tra i sessi l’Italia sconta un ritardo storico e culturale rispetto a molti altri paesi europei. Il governo la sua parte la sta facendo ma il problema deve essere risolto alla radice attraverso una rivoluzione oltre che culturale, dei costumi, dei comportamenti, attraverso il superamento di una mentalità arroccata su posizioni arretrate e anacronistiche”. “La solidarietà fra diverse generazioni è quella che oggi – osserva ancora Carfagna – consente pur tra mille difficoltà quotidiane a molte italiane di essere madri affettuose e professioniste capaci. Ma che ora non è più sufficiente”. Il ministro ha poi richiamato “quei vertici delle aziende che considerano talvolta un peso, invece che una risorsa, una donna che aspetta un figlio”. Il ministro Carfagna ha sollecitato “uno sforzo ulteriore, non un passo, ma una fuga in avanti e provare ad immaginare le donne che saranno le protagoniste di domani e il mondo in cui vivranno. Non si tratta di un esercizio di fantasia: proiettarsi nel futuro, immaginare per migliorare, é ciò che dovrebbero fare tutti gli uomini e le donne impegnati in politica”. E pensando alle bambine di oggi, “nei prossimi anni – ha aggiunto – le immagino come donne realizzate nel lavoro, capaci di raggiungere gli obiettivi professionali che si sono prefissate, senza limiti alla carriera imposti dal sesso e, al tempo stesso, donne che si possono permettere di essere mogli e madri. Perché, senza madri non ci sarà nessun futuro per il nostro paese”. Ricordando i provvedimenti del governo (come il piano di conciliazione e gli investimenti sugli asili nido), Carfagna ha sollecitato un “sistema moderno di aiuti, del quale si gioveranno le donne, da quelle più giovani a quelle più anziane, le nonne e i nipotini. Credo infatti che la solidarietà tra diverse generazioni, quella che oggi consente, pur tra mille difficoltà quotidiane, a molte italiane di essere madri affettuose e professioniste capaci, non è più sufficiente”. Da cui il riferimento ad un “nuovo patto intergenerazionale” . “La promozione delle pari opportunità non è solo una questione di giustizia sociale ma – ha spiegato Carfagna – è un volano per lo sviluppo socio-economico”.Il mondo delle imprese è ancora predominio assoluto degli uomini, tanto che la parità uomo-donna ‘resta ancora un mito’. A decretare il gap che ancora esiste tra generi è stato anche l’ultimo Report del World economic forum che piazza l’Italia nella posizione poco lusinghiera di circa metà classifica a livello internazionale, compresa tra Vietnam (dove regna piu’ uguaglianza) e Tanzania. L’Italia e’ infatti al 72/o posto su 134 paesi, in peggioramento rispetto al 67/o posto del 2008. Peggio di noi in Europa si classificano solo Grecia (86/a) e Malta (89/a). L’altra faccia della medaglia riguarda però le alte posizioni occupate dalle donne nelle imprese e in particolare quella di amministratore delegato. In questo caso la posizione dell’Italia si ribalta drasticamente. Contro una media mondiale di poco meno del 5%, il nostro Paese si attesta all’11%, poco sotto la Finlandia (13%) e la Norvegia (12%), paesi che, insieme all’Islanda, registrano il livello di uguaglianza maggiore. A livello internazionale i risultati dell’indagine su 600 società, rappresentano “un campanello di allarme sul fatto che il mondo aziendale non sta facendo abbastanza per raggiungere l’uguaglianza tra genere maschile e femminile – sottolinea Saadia Zahidi, coautrice del rapporto – Mentre un certo numero di imprese in Scandinavia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sono leader nell’integrazione delle donne, l’idea che la maggior parte delle corporation internazionali siano equilibrate nel rapporto uomo-donna è ancora un mito”. Guardando ai settori di attività, sono i servizi quelli che a livello mondiale contano più dipendenti donne. In particolare, all’interno di questo comparto, i servizi finanziari e le assicurazioni sono decisamente rosa (con una percentuale di donne occupate pari al 60%). Seguono i servizi professionali (56%), i media e lo spettacolo (42%). All’opposto si piazzano invece il settore automobilistico (18%), quello minerario (18%) e l’agricoltura (21%). Le donne sono concentrate soprattutto ai livelli più bassi della carriera e rimangono ancora poche nelle posizioni di managment o all’interno dei consigli di amministrazione. L’eccezione è quella della Norvegia dove, grazie ad una apposita normativa, la percentuale delle donne tra i dirigenti è di oltre il 40%.Sopra la testa delle donne e la loro carriera, quasi un tetto di cristallo invisibile, quasi infrangibile Quando sarà possibile rimuovere definitivamente questo coperchio e considerare che anche la donna ha una sua preparazione professionale alla pari dell’uomo?

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