Pubblichiamo di seguito un estratto dal lavoro di Pier Giuliano Cecchi con il quale ha partecipato nel 2009 al convegno “Architettura Militare e Governo in Garfagnana” e in seguito pubblicato nell’omonimo volume che raccoglie tutti gli interventi del convegno.“La Vicaria Lucchese di Castiglione tra il sec. XVII e XVIII” è stata pubblicata anche singolarmente e integralmente a cura dell’autore.
LA VICARIA LUCCHESE DI CASTIGLIONE TRA IL SEC. XVII E XVIII.
IL CASO DEL CAMARLINGO GENERALE: IL CARTOGRAFO SERGENTE
DOMENICO CECCHI (1678-1745).
“UN GRAN HOMO” – “D’UNA INDOLE INCREDIBILE”.
“Esiliato” da Castiglione Lucchese, in un voluto coacervo di situazioni amministrative e
professionali, portò la sua arte nella Garfagnana Estense, Barga Fiorentina e Modena.
Di Pier Giuliano Cecchi
L’eroe profugo di Byron esclama: “Fecer di me un’ esiliato, non potendo farne uno schiavo”. Questa potrebbe essere la sintesi dell’intensa vita dell’ingegnere e architetto Domenico Cecchi, nato il 1° ottobre del 1678 nella terra lucchese di Castiglione Garfagnana e morto da “esiliato” in terra estense, a Pieve Fosciana, il 17 ottobre 1745. Una vita da romanzo e da film.
L’esistenza di Domenico Cecchi si divise tra. la professione e il suo impegno politico quale amministratore in seno al Parlamento di Castiglione: consigliere nella prima parte, poi camarlingo generale del Comune; ma prima di passare al suo caso, esaminato nel nostro lavoro con particolare riferimento a quel coacervo di situazioni amministrative e professionali che stanno e sono all’origine delle sue disavventure: l’ “esilio” dalla sua terra – per poi seguirne la particolare vicenda sino alla morte ed oltre – intanto pensiamo sia utile ripresentarcelo un poco nella sua arte della cartografia che è divisa in due rami essenziali.
Dei due aspetti, forse il più affascinante e certamente il più conosciuto, è l’impegno nelle due carte corografiche della Garfagnana, poi gli studi e disegni dal carattere prettamente militare della fortezza di Castiglione – complesso del suo armamento e singoli rinforzi – infine le mappe dei confini tra i due stati insistenti nell’ allora Garfagnana: Lucca e Modena e altri lavori; il tutto da relegarsi nell’ambito delle committenze pubbliche.
L’altro aspetto, strettamente attinente alla sua perizia di agrimensore, lo esplicò in molti Terrilogi: grandi libri redatti a mano in cui per conto di enti come il Comune di Castiglione, ma nella stragrande maggioranza di istituzioni religiose sparse in tutta la Valle: chiese, opere laicali collegate alle stesse, ecc., riconobbe, misurò e disegnò nelle debite proporzioni i beni da loro posseduti, ricostruendone nel contempo la storia livellaria e la rendita in base all’eventuale contratto notarile stipulato con il cunduttore, cosicché il richiedente, l’ente proprietario dei beni, avesse a disposizione un documento inoppugnabile su cui basarsi nel presente e nel futuro.
I Terrilogi garfagnini sono conservati nei tanti archivi storici delle parrocchie e ben tre a Barga, che salgono a quattro con quello eseguito per le monache di S. Elisabetta, oggi conservato presso l’Archivio di Stato di Pisa tra le carte di quel monastero. Per ora in tutto ne sono stati censiti circa 30, ma ci sono sicure tracce in lettere del tempo che parlano di altri lavori effettuati per comunità al di là degli Appennini nell’ allora “Lombardia”: Asta, Febbio, Villa Minozzo. Un dato che ci fa riflettere sull’impegno profuso nel settore e quanto fosse conosciuto e apprezzato professionalmente Domenico Cecchi.
Della sua attività di architetto si conserva in Castiglione la realizzazione di un suo progetto di ristrutturazione dell’attuale Molino di Fondo, allora danneggiato gravemente dal tempo e da qualche piena dei fiume di Castiglione, l’Esaurolo. Il documento che ci rivela questa importante notizia per il Cecchi si conserva presso l’Archivio di quel Comune, il quale recita: “Al Serg. Domenico Cecchi per le 22 giornate datte per assistere alla fabrica del Mulino di Fondo, e havere fatto il disegno come si doveva costruire detta fabrica, la quale fu terminata con “assistenza del suddetto e con le regole già disegnate e perciò l’Honorando Parlamento per sua mercede li passò per decreto, il 20 gennaio 1727, £ 22 e Soldi 10”.
Per quanto riguarda gli studi compiuti dal Cecchi nell’arte della cartografia ci è di grande aiuto una sua firma professionale posta in calce ad una relazione tecnica letta in seno al Parlamento di Castiglione il 15 gennaio 1711, poi trascritta nei libro dei decreti: “Io Domenico di Lunardo Cecchi agrimensore di Castiglione essendo stato a Lucca nella residenza dell’Ill.mo nostro Offizio delle Fortificazioni alla matricola, lì 24 settembre 1703”. (a.c.c-Decreti- Libro 24). Partendo da questa importante notizia e correlandola con l’ottimo studio effettuato da Margherita Azzeri nel libro “Imago et descriptio Tusciae” del 1993: “La nascita e lo sviluppo della cartografia lucchese”, dove si parla anche di come venivano educati all’Offizio delle Fortificazioni i futuri cartografi-agrimensori lucchesi, siamo in grado di trarre delle conclusioni che riguardano l’iter seguito dal Cecchi per giungere alla professione, sino ad oggi solamente intuito da Roberta Martinelli nel suo studio sul cartografo: “Le disavventure di un Tecnico” in “Terre di Confine” del 1987. Infatti la Azzeri ci dice che: “Alla matricola si accedeva dopo il superamento di un esame scientifico, la presentazione di attestati relativi alla pratica di almeno un anno sotto la guida di un agrimensore approvato … Gli aspiranti dovevano, inoltre essere sudditi lucchesi e avere almeno venti anni compiuti d’età … era necessario dimostrare di conoscere geometria, algebra e trigonometria, di saper risolvere i principali problemi di agrimensura e di estimo e di saper usare gli strumenti del mestiere”.
Quanto riferito – il documento dell’Archivio di Castiglione – ci offre la possibilità di affermare delle cose importanti sul Cecchi e in primo luogo che nella pratica fu veramente allievo dell’agrimensore approvato alla matricola Gio: Batta Pieri, il cerusico di Castiglione, e che il suo esame per conseguire la matricola, presumibilmente, consistette nel formare la carta dei “Confini della comunità di Castiglione” datata 1702, la quale ricalca, ma con più particolari, un precedente lavoro del maestro datato 1699. La somiglianza delle due carte era l’unico appiglio che sino ad oggi consentiva di supporre che il Cecchi fosse stato allievo del Pieri.
Nello studio della Azzeri il Cecchi ha il suo rilievo e diverse sono le carte portate ad esempio, tra cui la “Cronologica Descrizione della Provincia della Garfagnana” del 1718, ma la cosa più interessante è la riflessione conclusiva al sunteggiarsi della sua vita ispirata all’autrice dal precedente studio di Roberta Martinelli a cui si è fatto poc’anzi riferimento.
Infatti la Martinelli, sulla scorta degli scritti del Cecchi, aveva posto all’attenzione un aspetto fortemente innovativo del suo intendere la professione, consistente nell’idea “che il perito deve essere indifferente rispetto ai committenti”. Così riprende l’argomento la Azzeri nel 1993: “… la consapevolezza delle proprie rilevanti capacità professionali e soprattutto la rivendicazione di un’oggettività al di sopra delle parti del prodotto cartografico sono dimostrazione di un modo assolutamente nuovo di intendere la professione”. La riflessione ha il suo assunto nel voler dimostrare, basandosi sull’epocale affermazione del Cecchi: “che il perito deve essere indifferente rispetto ai committenti”, che con lui ha inizio l’affrancazione settecentesca del cartografo alla libera professione da un voluto stato di servile devozione al potere, utile solo per fare le guerre. Queste osservazioni – Martinelli prima, poi Azzeri – lasciano intuire che la mentalità del Cecchi si basava certamente su di una formazione culturale molto vicina ai pre-illuministi – le cui origini prime sfuggono al nostro sapere – comunque evidente nel suo avvicinamento al Vallisneri nell’allora futuro motto illuministico ispirato da Kant: “Sapere aude”. “Abbi il coraggio si servirti della tua
propria intelligenza”. (Che cos’è l’Illuminismo 1784).
Quanto ho letto sinora fa parte dell’introduzione al mio studio che riguarda la figura di Domenico Cecchi, specialmente osservata seguendo il caso amministrativo di cui vittima, i cui risvolti lo portarono nei 1723 ad allontanarsi dalla sua Castiglione Lucchese in un forzato esilio a Castelnuovo estense, poi spostandosi sino al 1730 a Barga fiorentina, nel 1731-35 a Modena e nel 1730-45 a Pieve Fosciana estense ove morì.
Purtroppo il tempo concesso dalla odierna lettura non consente di andare tanto più in là di quanto esposto. Abbiamo soltanto toccato aspetti attinenti alla sua professione, riponendo fiducia nella totale pubblicazione del testo nel libro che raccoglierà gli atti del presente Convegno. Comunque mi pare doveroso accennare almeno al contenuto generale del lavoro e per farlo ricorro ai capitoli di cui si compone. Dopo l’introduzione, utile per ripresentarci il Cecchi nella professione e nelle caratteristiche psicologiche della sua personalità, nei due successivi capitoli: “La Vicaria di Castiglione” e “Il Parlamento di Castiglione tra il XVII e XVIII secolo”, abbiamo l’occasione di vedere come nasce per il territorio di Castiglione il nome Vicaria e come si strutturava il suo Parlamento nel tempo in cui si svolge il racconto del caso amministrativo di Domenico Cecchi. Due passi obbligati e utili all’ambientarsi dell’azione.
Col capitolo: “Il debito della Vicaria dei secoli XVII e XVIII e l’azione di Domenico Cecchi”,
iniziamo ad entrare nel merito del suo caso. In sintesi sul finire del XVII secolo nel Parlamento del Comune e Vicaria di Castiglione arriva la richiesta, proveniente dall’Offizio lucchese sopra i Disordini delle Vicarie, del ripiano di un vecchio debito contratto in vari tempi con gli Uffici Pubblici. Tale richiesta metterà in seria crisi il Comune, essenzialmente perché non è attrezzato fiscalmente per far fronte ad una simile evenienza. Dopo diversi anni, constatato che l’operazione in Castiglione presenta delle evidenti difficoltà, quell’ Offizio decide di imporre al Parlamento la formazione dell’Estimo delle particolari persone, cosicché possa avere un’entrata sicura per far fronte razionalmente al problema. A questo punto ci accorgiamo che in Castiglione un simile strumento fiscale non lo vogliono, ma l’Offizio comunque la spunta e nel 1707 per redigerlo viene incaricato dal Parlamento l’agrimensore castiglionese don Gasparo Fattori. Ma la faccenda, data la già annunciata avversione, prende una brutta piega per l’oggettiva particolarità delle proprietà da censire, divise in tre grandi possessioni: l’Ospedale di S.Pellegrino, le chiese e il Comune. In buona sintesi le prime due si sentono esentate dal loro dovere civile, ma si sollevano ancora altre fastidiosissime questioni – per esempio da parte di coloro che hanno i beni a cavallo dei confini di Stato – che ridussero il Parlamento, onde fare cassa, a vendere le migliori Terre e Pascoli allivellate con gran laudemio per le finanze comunali. In tale ginepraio di dispute vediamo allora che nel 1709 l’agrimensore Fattori recede dall’incarico. Il Parlamento in quello stesso 1709 nomina in sua vece l’agrimensore Domenico Cecchi. Questi però riceve l’incarico di formare un Terrilogio dei beni posseduti e già venduti dal Comune, così come si evince dall’intestazione del libro datato 1714 . Il ridursi dell’Estimo ai soli beni del Comune, di cui alcuni venduti, ci fa capire e chiarisce che il Parlamento si è trovato in una grave situazione politica, che trascinerà i suoi effetti anche sull’operato dell’agrimensore Cecchi.
In effetti succede che coloro che hanno a livello i beni comunali si pongono in malizia a seguito delle pretese esenzioni fiscali, adducendo che se devono pagare loro il debito è molto meglio cercare di comprarli quei beni, così come avevano già fatto per quanto riguardava le migliori Terre e Pascoli.
L’opportunità dell’acquisto dei beni comunali – ricordati come i migliori – è mossa dagli appetiti dei maggiorenti dei Parlamento, i quali, però, per raggiungere un maggiore e miglior risultato, hanno bisogno non si realizzi il Terrilogio, cosicché il Comune, per fare fronte al debito, continuerà nella politica di vendere i suoi beni, ora ravvisati nelle migliori selve. Quei maggiorenti causarono al Cecchi dei seri guai, inizialmente per il tipo di Canna usata nelle misurazioni interessanti il Terrilogio. Gli si richiede una relazione e il Cecchi senza scomporsi la presenta e riceve nuova fiducia da parte del Parlamento, ma non quella reale dei maggiorenti, costretti all’approvazione della sua chiarificatrice relazione solo per esser ligi ai voleri della capitale. Infatti, subdolamente, continuano a contrastarlo ferocemente per i sopraddetti motivi. Fin qui può sembrare anche tutto normale, però vedremo che non è così.
Nei capitolo in cui si tratta di come era composto e si strutturava il Parlamento di Castiglione possiamo osservare che i consiglieri eletti restavano in carica vita natural durante, il dato ci fa capire che trattandosi di vendere dei beni del Comune, i maggiorenti, con la loro politica di parte e la loro influenza, avrebbero inciso in Parlamento sul costo finale al netto ribasso; ma al di là del giusto valore, c’è un aspetto da tenersi viepiù nascosto da parte di quei maggiorenti, consistente nelle reali misure dello stesso bene da comprarsi, i cosiddetti “crescimenti”. ( I “crescimenti” erano gli abusivi allargamenti dei confini di un bene comunale concesso a livello, attuati su altri beni dello stesso Comune da parte dei conduttori. Una cattiva abitudine che, come per il passato, anche per tutto il XVIII secolo si rivelerà uno dei maggiori crucci del Parlamento di Castiglione). Il Cecchi, sulla scorta di tante informazioni raccolte, inizia a misurare quei beni comunali e a consegnare le mappe con i reali confini, facendo presente che l’eventuale allargamento andava saldato alle entrate del Comune, innalzando al tempo stesso il già preteso basso costo alla vendita. Il Cecchi su questo particolare aspetto dei “cresci menti”, ma in genere per tutto quanto riguardava gli interessi del Comune, non scenderà mai a compromessi e questa sua risolutezza gli costerà molto cara, specialmente quando nel 1714 entrerà a far parte del Parlamento. Infatti per salvaguardare il suo lavoro professionale che prevedeva ancora l’idea politica, quale consigliere, del raggiungimento di un’equa distribuzione del debito (sintetizzabile con “chi ha di più paghi di più e chi di suo non ha niente non paghi”) arriverà a scontrarsi col commissario Nicolini, il quale nel giugno di quell’anno, deciso a chiudere la partita debito, proferirà una Sentenza sul ripartimento dello stesso debito che terrà conto di tutte le aspirazioni di quei maggiorenti, i quali prefigurano un ripartimento del debito, indifferentemente, su tutte le teste: tanto al povero quanto al ricco. Nei fatti il commissario tronca bruscamente l’operato professionale e parlamentare del Cecchi, il quale, per non giungere alla vendita delle selve, si era prodigato con successo a risolvere anche una questione con gli Uffici di Lucca che prevedeva il calo del debito di un consistente numero di scudi, tanti e tali da rendere possibile la non vendita degli ultimi beni comunali: le Selve – cosicché il Comune avrebbe mantenuto delle sensibili entrate. Ma il commissario, raggiunto un accordo di regime sulla questione sollevata dal Cecchi e ormai alla scadenza del mandato, vuole che la sua Sentenza sia approvata cosi come l’aveva decisa. La Sentenza era ingiusta anche per altri motivi descritti nel testo da pubblicarsi.
Fortemente contrariato per il danno personale – leggere, imposto silenzio in Parlamento e carcere – e per quello arrecato al Comune, il Cecchi – con lui altre persone di Castiglione – muoverà causa al Nicolini. Ci sarà un processo, ma le cose rimarranno tali.
Questa forte ricerca di giustizia da parte del Cecchi è l’inizio del suo calvario, perché mai il Nicolini gli perdonerà l’affronto subito che gli causò il ritardo della carriera. La vendetta, tenuta in serbo per alcuni anni, inizierà ad effettuarsi quando nel 1725 il Nicolini salirà a dirigere la polizia di Stato col grado di cancelliero maggiore del Magistrato dei Segretari.
Gli altri capitoli del mio lavoro vedono: “L’esilio del Cecchi”, che si attua nel giugno del 1728, poi: “Dopo l’esilio la condanna”, questa gli arriva nel dicembre del 1728.
Prima di quanto dirò voglio subito chiarire che l’esilio del Cecchi non fu dovuto al suo volersi dare a Modena, bensì per delle precise vicende amministrative artatamente volute da Lucca contro di lui e tendenti, appunto, a toglierlo dallo Stato per poi dare corpo all’accusa di stampo “repubblicano” consistente nel cartografo traditore di Lucca. La cosa è chiara nel testo da stamparsi. La condanna è delle più severe: galera a vita, essenzialmente inflittagli perché con l’esilio a Castelnuovo si pensa che abbia portato con se alcuni libri e fogli sottratti dall’Archivio di Castiglione e che parlavano delle confinazioni di stato con Modena, mettendo così in campo la sua professione nel momento in cui sono riscoppiati i conflitti tra Lucca e la stessa Modena per il possesso del sito di S.Pellegrino. Si ricorda che il Cecchi già dal 1715 aveva preso ad andare fuori Stato per fare degli Estimi, ma soprattutto nei 1721 aveva ricevuto dal Duca di Modena la patente di agrimensore per la sua Garfagnana. una circostanza che Lucca dimostrerà nei fatti di non aver mai digerito e che ora – 1728 – decide di far ripagare all’esule con tutti gli arretrati. Il processo avrà clamorosamente del sommario, così come si denuncia nel racconto, e questo si fa chiaro negli atti ritrovati, nel senso che si cercano da parte del Magistrato dei Segretari, nella persona del Vicenni, le prove contro il Cecchi dopo che il Podestà di Lucca gli ha già inflitto la pena. Ma il bello è che quando credono di averle trovate, loro stessi arrivano a dire, nelle vesti del commissario di Castiglione, che i libri di cui si è detto poc’anzi, “forse” e ripetiamo “forse”, li può aver presi il Cecchi. Maldestramente fanno capire ancora che addirittura non c’è neanche certezza che tutto l’iter della presunzione di colpa sia sicuro.
Allora si fa chiaro che si gioca una partita sporca, maledettamente sporca, le cui origini si possono ravvisare in quanto già detto: l’avversione dei maggiorenti del Parlamento che non gradiscono il Cecchi tra loro perché sapeva troppo degli affari di Castiglione che interessano la loro borsa. Poi la tenace avversione alla sentenza Nicolini, ora salito nell’importante e decisivo ruolo per il future del Cecchi.
A queste due cose si aggiunga la sua professione di agrimensore e il fatto che si reca all’estero a misurare terre anche sui confini di Stato e il quadro è destinato a farsi leggere nella sua prevedibile evoluzione, nel senso che tutto quanto detto gioca contro di lui.
I capitoli continuano con: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico…”, in cui si
esaminano le vicende che interessano il Cecchi quando, nel 1731, lo si accusa per le confinazioni di Massa-Sassorosso, a cui seguirà un processo che ebbe per verdetto un responso che attribuisce al Cecchi la turbativa del quieto vivere della Repubblica.
Dopo quest’ultimo evento il Cecchi viene accolto a Modena e protetto da quel Duca, ma nel 1735 torna nella sua Garfagnana, ma a Pieve Fosciana estense e qui, trafitto ogni giorno dal pensiero della grandissima ingiustizia subita e per cui soffre inesausta pena, inizia a chiedere alla Repubblica di Lucca la grazia di poter far ritorno a Castiglione con tutto il suo onore conculcato da una vicenda ingiusta e spropositata negli effetti. Nel 1730 l’aveva richiesta addirittura il Parlamento di Castiglione.
Segue il testo col capitolo: “L’innocente Cecchi chiede a Lucca la grazia di esser liberato dall’ esilio in cambio del suo silenzio sulle persecuzioni”, per poi giungere al capitolo sulla “vera” storia del: “Peristromi Pellegrini – ovvero Commentario Fiorito in ogni genere d’erudizione sulla Leggenda di S. Pellegrino re di scozia”.
Infine nel capitolo: “Il Cecchi e le carte in favore di Modena?” si cerca di capire se il Cecchi fa veramente delle carte pregiudizialmente contro Lucca e a favore di Modena. La questione ci porta a dire che il Cecchi viene accusato concretamente di cose astratte.
Si termina lo studio con altri due capitoli, di cui l’ultimo sono le ovvie “Conclusioni”, anticipate però da uno scritto che ora potrà sorprendere chi ascolta: “Pietro Lunardo Cecchi esige dal Comune di Castiglione i soldi dovuti al defunto Padre”; si tratta del debito che il Comune mantiene col Cecchi e che mai vuole liquidargli in vita – causa della perdita dei beni della sua famiglia per far fronte a coloro che gli prestarono i soldi per cercare di difendersi dalle terribili accuse – sarà il figlio a riscuoterlo nel 1753 e questo fatto la dice lunga sulle persecuzioni di cui fu vittima il “Leone di Castiglione”, alias, Domenico Cecchi.
Pier Giuliano Cecchi.
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