Le interviste di Stefano Elmi. Giuliana Sgrena: “Io rifiuto la definizione d’inviata di guerra”

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Proseguiamo con la pubblicazione delle interviste che lo studente barghigiano Stefano Elmi ha realizzato per la sua tesi di laurea, con alcuni famosi “reporter di guerra”.Stavolta pubblichiamo l’intervista con Giuliana Sgrena, giornalista de “Il manifesto”.
Nella sua esperienza professionale cosa l’ha spinta e continua a spingerla a raccontare storie in determinate parti del mondo? Quale è stato e quale è il suo convincimento personale per affrontare viaggi in regioni di guerra o comunque critiche?
Io non ho scelto di coprire le guerre e rifiuto la definizione di inviata di guerra, se lo facessi sarebbe come fare della guerra il mio mestiere e ciò si scontrerebbe col mio essere pacifista.
Il fatto è che io mi sono specializzata in un’area del mondo purtroppo interessata da conflitti e guerre, quindi non c’è nessun tipo di convincimento nel seguire i conflitti ma il semplice fatto che conoscendo un paese ne seguo tutti gli sviluppi.

Quando si è accorta che magari il suo lavoro era utile per qualcuno o per qualcosa d’importante?
Penso che raccontare gli effetti di una guerra possano servire a qualcuno per riuscire a convincerlo che la guerra non risolve mai i problemi. Penso anche che sia importante sopratutto seguire situazioni o aspetti che nessuno prende in considerazione, può essere utile a far emergere realtà sconosciute.
Personalmente penso di aver dato parola a chi non ce l’ha mai, come le donne di diversi paesi.

Se esiste, cos’è l’obiettività?
Non so se esiste l’obiettività, per me l’importante, nel mio mio modo di intendere e fare questo mestiere è l’onesta di rimettersi sempre in discussione di fronte alle realtà che si conoscono.
Io non credo in un tipo di giornalismo embedded, oppure in quello fatto in una stanza d’albergo.
Io credo in un giornalismo indipendente.

Secondo lei quali sono le prospettive future per il mestiere dell’inviato, alla luce anche delle nuove tecnologie?
In Italia il mestiere dell’inviato mi sembra che non abbia nessun tipo di futuro. Nessun giornale vuole più investire i propri fondi in inviati, soprattutto per quelli che dovrebbero fare un lavoro di inchiesta o di approfondimento.
In parte, oggi, questo genere di mestiere è possibile farlo tramite internet dove ormai si trova di tutto.
Infatti penso che proprio internet vada considerato come un arricchimento, nella sua facilità di reperire contatti, ma allo stesso tempo può essere considerato anche un impoverimento se va a sostituire totalmente il lavoro svolto dall’inviato.

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