Chi sale la via di Borgo a Barga potrà vedere in una vetrina una piccola, ma significativa mostra, che vuole ricordare a tutti noi quel tempo in cui i Mulini avevano la loro efficace presenza nel territorio. Non sono passati molti anni da quando l’ultimo Mulino del territorio di Barga ha cessato la sua attività; qualcuno senz’altro ne ricorderà molti attivi e ricorderà il via vai delle persone che si recavano alla macinatura delle loro granaglie. Oggi comunque si può e si deve parlare di memoria del passato, in quanto sempre più si fanno rari nella Valle i mulini ancora in attività, perché soppiantati dai moderni metodi produttivi.La mostra ha per titolo “Il Mulino biologico” ed ha visto l’entusiastica adesione della proprietaria della vetrina: Antonietta Aurori, che da buona e attenta barghigiana, da tanto tempo concede lo spazio espositivo a chi lo vuole utilizzare, ovviamente per mostrare cose che
riguardano la cultura e la storia di Barga.
L’odierna occasione è stata concordata con gli autori della miniatura di Mulino in mostra: Emilio e Raffaello Lammari, i quali sull’argomento hanno scritto recentemente anche un bel libro, poi edito, su interessamento del Comune di Barga al tempo del Sindaco Sereni, da Maria Pacini Fazzi di Lucca.
Il libro sta riscuotendo uno straordinario successo, tanto da esser stato presentato a Barga addirittura tre volte. Ovviamente la prima si è avuta nella sala del Consiglio di palazzo Pancrazi l’11 luglio 2009, che per l’occasione era gremita di tantissime persone avvinte dal fascino della pubblicazione. Poi ancora tantissima gente quando è stato presentato alla Volta dei Menchi il 19 luglio, nell’ambito del Festival del libro “Tra le righe di Barga”, manifestazione voluta dall’editore di Prospesktiva Andrea Giannasi di Castelnuovo con l’importante ausilio dei fratelli Poli dell’omonima edicola di Barga; infine, e per la terza volta, sempre di fronte ad un numeroso pubblico, è stato presentato la sera del 27 luglio a cura della Polisportiva Valdilago in occasione della sua cena sociale tenutasi alla festa del “Pesce e Patate” in corso di svolgimento al campo sportivo.
Alla presentazione avvenuta in Comune ci sono stati vari interventi, tra cui il sindaco di Barga Marco Bonini, l’assessore Gabriele Giovannetti, la delegata alla Cultura Giovanna Stefani, l’editrice Fazzi, Raffaello Lucchesi e di seguito gli autori del libro Emilio e Raffaello Lammari, con nel mezzo il sottoscritto, il cui testo mi pregio di far conoscere a tutti. Premetto solo una cosa: l’intervento che feci, poi ripetuto al campo sportivo, si è mosso in relazione al mio modestissimo contributo alla pubblicazione, concretizzatosi con un’amichevole supporto storico.
Ma prima di passare alla riproposizione del testo della presentazione del libro, oltre a ricordare ancora il buon lavoro sui Mulini, ci preme di mettere in evidenza le altre notizie importanti per la storia di Barga. Alle pagine 6-7-8-9-, la storia degli stemmi di Barga tra il XVII° e XIX° secolo; pag. 25, la dissertazione sul nome Barga; pag. 27 la vecchia foto di una giovane donna in S.Pietro Campo, ritratta sull’antica via dei Remi, di cui si notano i solchi dei carri sul selciato; a pag. 28- 62- 63-, dalle carte del bravo cartografo bolognese Eustachio Manfredi, in cui disegnò i confini di Barga sul fiume Serchio, si possono vedere i vari riferimenti sempre attinenti all’antico traino dei legnami per la marina Granducale, tra cui l’Arsenale dei Remi e il successivo “Porto di Barga”, il celebre “Sasso di Menante”, oggi ravvisabile all’approdo barghigiano del nuovo ponte sul Serchio; a pag. 43, la storia e l’immagine della “trebbiatrice” di Giovanni Pascoli conservata nelle cantine della sua casa; a pag. 66, le immagini di antichi Termini di Confine dello Stato fiorentino, i quali sono ancora visibili lungo il Serchio e la nota sulla coltivazione del riso che i barghigiani effettuavano sulle isole dello stesso fiume; infine alle pagine 95- 96- 97-, l’affascinante storia del ritrovamento della Madonna del Molino e le note storiche sullo stesso molino, detto di San Cristofano.
Si ricorda che tutte le notizie riferite sono suffragate da documentazione ufficiale, frutto di un costante lavoro di ricerca, attuato dagli autori del libro, presso gli archivi di Barga e specialmente in quelli Statali di Lucca e Firenze.
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INTERVENTO DI PIER GIULIANO CECCHI ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO: “I MULINI AD ACQUA NEL TERRITORIO DI BARGA” DI EMILIO E RAFFAELLO LAMMARI.
Sala del Consiglio di palazzo Pancrazi – Sabato 11 luglio 2009, ore 11.
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Prima di iniziare questo mio breve intervento desidero salutare tutti i presenti e scusarmi se leggerò quanto dirò, ma purtroppo (mi conoscete) è un mio bisogno inderogabile.
Premesso ciò, ringrazio il sindaco Marco Bonini e l’assessore Gabriele Giovannetti, per avermi invitato a questo importante momento di cultura per Barga. Un invito che mi ha fatto molto piacere, non tanto perché mi è stata offerta l’occasione di dire qualcosa in relazione al libro – un dato che non è di poco conto per la mia persona – e che deriverà dalle mie modeste conoscenze sulla storia di Barga, ma soprattutto piacere perché oggi ho l’opportunità di ringraziare pubblicamente Emilio per avermi interessato alla sua fatica col chiedermi un aiuto, poi tradottosi in un modesto supporto storico. Ma oltre ciò c’è qualcosa di più grande: l’avermi voluto pregiare della sua amicizia, che spero di esser riuscito a contraccambiare. Un dono che mi fa scordare i mulini e la storia.
Però oggi siamo qui per questo e allora dobbiamo parlarne, soprattutto del libro.
Intanto va detto – so che a Emilio e Raffaello non piace assolutamente essere definiti storici – che la pubblicazione, comunque copre nel migliore dei modi, una delle tante lacune presenti nella storiografia barghigiana: penso alla ancora non del tutto edita storia “Il Castello di Barga” del canonico Pietro Magri, il cui manoscritto, stilato tra fine del XIX° e gli inizi del XX° secolo, giace nell’archivio della parrocchia, assieme a quella prima “bacchetta” dei Battezzati di Barga che sta a cavallo tra il XV° e il XVI° secolo e che urge da tempo un restauro conservativo. Ma penso anche a nuovi lavori che vadano ad indagare nei secoli la storia ecclesiastica della terra di Barga. Le infinite liti per il Serchio o di confini. Oppure, e qui mi ci soffermo, sulla particolarità del caso Barga che si evidenzia chiaramente nei primi secoli dopo il Mille e che dette l’impulso ad opere d’arte di assoluto rispetto nel panorama del medioevo italiano: Duomo, pulpito e statua di S.Cristoforo. In altre parole cosa accadde? Siamo certi che tale propensione al grande e al bello fosse di pura matrice locale? Oppure vi giocarono elementi esterni recentemente posti in evidenza da studiosi locali?- vedi il “Duomo di Barga” di Pier Carlo Marroni.
Mi sono soffermato su quest’ultima cosa perché nel libro di Emilio c’è un’affascinante indizio, un pensato filo che ci riporta proprio a quella storia e che proveremo a tirare.
Infatti a pag. 22, nel capitolo “Due finestre sulla storia” sono pubblicati due documenti, uno del 1483 e l’altro del 1627, dai quali, in qualche misura, si viene a conoscenza di come venivano concesse le autorizzazioni per la costruzione di un Mulino nella terra di Barga. Nella più vecchia si tratta di costruzioni sul fiume di Barga: la Corsonna, ed è proprio questa scrittura del 1483 – una deliberazione ufficiale del Comune – che incuriosisce non poco, per il fatto che si dice e ribadisce che chi voleva un permesso per costruire un mulino sulla Corsonna doveva ricorrere alla licenza dell’Operaio di S.Cristofano. Si aggiunge ancora che è “anticha consuetudine” che sia così, quindi il Comune, perché il vecchio libro che lo faceva osservare era andato lacerato, pensò bene di ribadirlo ufficialmente.
So bene che con quanto dirò devio un poco dalla presentazione del libro, però mi pare interessante osservare ancora che l’Operaio di S.Cristofano aveva in antico, prima del 1483 e precisamente nell’anno dello Statuto di Barga del 1360, altre mansioni che esulavano dal suo mero compito di primo addetto al mantenimento del Duomo. Funzioni che riguardavano ancora i Mulini, precisamente nel tenere il campione di una minella (una specie di ramaiolo capace della quarantesima parte di uno Staio), il cui uguale era data dal Comune a tutti i mugnai per le misure di granaglie e farina; per le controversie si ricorreva al campione dell’Operaio.
Ma ce n’è ancora un’altra incombenza data per Statuto all’Operaio di S.Cristofano, quella di custodire le balestre e i relativi canapi (armi da difesa e offesa), che ci porta a riflettere si fossero mantenute nel suo ufficio antiche prerogative, derivanti dai secoli a cui accennavo poc’anzi. Secoli che videro Barga in una continua lotta per la sua indipendenza e al tempo stesso dava corpo a stupende opere d’arte. Si tenga presente che sia il primo aspetto, come il secondo, avevano necessità di un forte supporto economico.
Questi dati storici così singolari mi portano alla breve e libera dissertazione che segue, la quale mi è suggerita dai tanti simboli templari che si possono ancora osservare tra i fregi del millenario Duomo.
Quindi mi pare di vedere quell’Operaio si S.Cristofano vestito come i due guerrieri che sono sul portale più antico del Duomo: tunica, croce sul petto, elmo, spada, scudo, in difesa del tempio, lume e luogo sicuro sulla variante della via “franchigena” che solcava la tenebrosa Valle. Attento ai lauti guadagni del transito sul ponte di Calavorno, sul ponte a Populo in Campia, che erano dipendenti dalla Pieve di Loppia, di cui Barga in quel tempo ne era il castello principale e dominante. Ma anche attento a tutte quelle attività redditizie che offriva strettamente la terra di Barga e che rientravano nell’ottica di attività censite a fini fiscali, tra cui i mulini, che li potremmo pensare da lui controllati, così come suggestivamente ci induce a pensare la delibera del 1483. Ma si potrebbe prospettare nelle sue mani addirittura anche la sorte del ferrigno Castello di Barga, qualora fosse stato a capo di antichi guerrieri consorziati nell’Opera di S.Cristofano, memoria europea delle antiche Gilde dei mercanti che in confraternite dedicate al Santo gigante reggevano le sorti dei borghi. Tra l’altro l’Operaio di S.Cristofano in antico era a vita e donava tutti i suoi beni all’Opera, salvo il loro usofrutto. Così facevano tutti coloro che entravano nel ceto dei conversi. La chiesa di Barga, il Duomo, per le crociate del 1260 raccoglie il doppio della Pieve di Loppia ed è di gran lunga la prima in tutta la Valle, Garfagnana compresa .
Quindi, per chiudere la libera dissertazione, rileviamo ancora che quel documento del 1483 ha un particolare fascino, che aumenta nel momento in cui ci accorgiamo che nel XVI° secolo il Comune di Barga cedeva all’incanto, diviso in tre tronconi, l’utilizzo del fiume di Barga, la Corsonna. (L’incanto si faceva nella sala del Consiglio con un mozzicone di candela accesa, quando si spengeva perché finito, chi aveva offerto di più si prendeva il pezzo di Corsonna). Quindi il fiume di Barga spettava al Comune, ma per costruirvi un mulino dovette risancire il ricorso al permesso dell’Operaio di S.Cristofano.
Detto questo, personalmente ringrazio ancora gli autori per avermi dato l’accasione: prima di ricercare per loro qualcosa d’interessante, poi di indagare la storia sull’argomento di queste osservazioni ed è qui proprio il nocciolo, perché chi opera nella direzione di un libro, se lo fa come loro, cercando di coinvolgere le persone nel progetto, oltre che un vantaggio per l’opera, ne trarrà anche un duraturo sentimento di gratitudine, perché sarà riuscito a dar stimoli o voce a tante persone, così come Emilio e Raffaello hanno voluto e saputo fare, col finale risultato di far sentire il libro di tutti.
C’è quindi nel libro – sotto la loro firma – oltre che un un buon prodotto frutto di un lavoro di anni; oltre alla relativa forte volontà, figlia della passione e dello spirito di servizio in favore della crescita culturale della Comunità, unito il disinteresse e quant’altro possiamo dire di bene e di vero, c’è soprattutto un grande e ottimo risultato raggiunto: il libro, come dicevo, non è più solo loro, ma in primis di tutti coloro che sono stati avvicinati per vari motivi e sono tante persone. Così com’è per tutti coloro che hanno creduto in questo progetto, i cui nomi li potete leggere nei ringraziamenti.
Ma sono certo che lo conserverà gelosamente anche chi lo vorrà avere tra i suoi libri, perché è un testo in cui la storia si lega strettamente ad un vissuto che fa sentire ancora la sua eco, che sa di popolo e di gente comune. Ricordo di aver visto da ragazzo il via vai al molino del Candino di gente che portava a macinare anche il suo tuccio di grano o di granturco.
Non credo che quanto ho detto sia da prendersi per scontato, nel senso di una ovvietà, perché questo libro, come altri, poteva essere condotto in porto in tante maniere: visite ai mulini, foto, un po’ di storia e così dicendo. No! Questo non è mai stato l’intendimento di Emilio e Raffaello, perché hanno ricercato il contatto con le persone – penso al modellino di mulino da loro costruito e che ha girato tutta la Valle – ma soprattutto con gli artefici – ovviamente chi è rimasto di quella lunghissima storia – per cogliere da loro quell’essenza del vero che si respira ora nel libro e lo fa prezioso. Grazie.
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