I Tallinucci, una famiglia barghigiana nella Storia d’Italia

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Edito dal Giornale d Barga usciva nel giugno 1985 un volumetto curato da Antonio Nardini, dal titolo: “I Tallinucci, una famiglia barghigiana nella Storia d’Italia”.Il libro uscì in occasione delle celebrazioni a Pietro Tallinucci ed oggi ve lo riproponiamo in forma integralesul giornale di Barga online.La prefazione che accompagnata il volume fu scritta di Umberto Sereni
CON MAZZINI E SAN FRANCESCO: IL DOTTOR PIETRO TALLINUCCI, OVVERO LA VITA COME MISSIONE
Fu repubblicano, ma non comprese democrazia senza Dio, libertà senza carità e carità senza istruzione.

« L’eco del Serchio », 26 giugno 1887

Tra le diverse iniziative assunte nel 1982 per le celebrazioni di « Barga Garibaldina » vi fu anche il ripristino dell’antica denominazione della piazza ove sorge il Palazzo Municipale. Decidemmo, allora, che tornasse ad essere dedicata al nome di Salvo Salvi, il «milite dell’esercito rosso» che combatté a Bezzecca, dai suoi concittadini chiamato «l’uomo giusto di Barga».
Ricordo che una mattina, pochi giorni dopo aver adottato quella decisione, al Giardino incontrai il caro ed indimenticabile Renzo Salvi. Sapevo che a Renzo stava a cuore che il nome del suo illustre avo tornasse su quella piazza, da dove era stato rimosso senza plausibile motivo. In più occasioni il caro Renzo aveva esternato agli amministratori comunali questo suo legittimo desiderio. Allora gli comunicai quanto avevamo stabilito.
Quello che gli dicevo, lo vedevo benissimo dall’espressione del volto divenuto ancora più sereno, gli procurava soddisfazione. La soddisfazione di chi avverte di essere riuscito a portare a buon fine un compito ritenuto di grande importanza. Mi ringraziò ed ebbe parole di stima per il Comitato, ma prima di lasciarmi volle aggiungere qualcosa: «Non vi dimenticate del dottor Tallinucci. E’ una figura straordinaria. Anche a lui dovete fare le celebrazioni».
Quelle parole le intesi come una specie di consegna morale che Renzo Salvi, vigile custode della nostra migliore storia, ci affidava. Ed in questi mesi, mentre in mezzo a triboli assurdi, prendeva corpo l’idea delle onoranze al dott. Tallinucci, più volte ho «rivisto» quella scena ed ho «risentito» la voce di Renzo Salvi. Era come uno sprone a non mollare di fronte agli ostacoli che venivano alzati; era come uno stimolo a perseverare, nella convinzione che alla fine i buoni ed onesti propositi avrebbero trovato la giusta affermazione. E così, infatti, è stato. E adesso pos siamo ben dirlo: la consegna affidataci dal caro Renzo è stata rispettata. Grazie all’aiuto di quanti si sono dimostrati degni della nostra storia e si sono riconosciuti negli ideali che ispirarono la vita del dott. Pietro Tallinucci, di certo uno dei più luminosi personaggi espressi dalla millenaria civiltà bargea.
«Figura straordinaria», così ce lo presentò quella mattina il caro Renzo che su Pietro Tallinucci, medico, patriota, filantropo aveva scritto una commossa rievocazione. Chi rilegge quell’articolo, è raccolto nel volume « Novelle Borghigiane » – comprende subito che Renzo Salvi nutriva per Tallinucci una sorta di venerazione. Sentimento che Renzo aveva ereditato da quei borghigiani che in vita avevano conosciuto il dott. Tallinucci e vollero perpetuarne la memoria erigendo in suo ricordo il più imponente monumento fino ad allora realizzato nella cittadina. Un monumento che sfiorava i cinque metri, la sola statua raffigurante il Tallinucci era di due metri, e sui lati del basamento insieme allo stemma del Comune erano incise la dedica «A Pietro Tallinucci Bargeo l’affetto e la riconoscenza dei suoi concittadini»; e le motivazioni «Valente chirurgo, indefesso nell’arte sua, ansioso soltanto del sollievo dei sofferenti»; « Fervido Patriota, militò per la patria, sostenne costante i diritti del popolo la libertà».
Collocato nei prati di fianco a Porta Mancianella, il monumento aveva un significato simbolico, che i borghigiani del tempo non faticavano a comprendere. Quella statua di candido marmo apuano, rivolta a fissare l’eterno orizzonte, «proteggeva» Barga e la sua gente, perpetuando la meravigliosa opera del dott. Tallinucci che era stato, come scrisse un suo biografo, «il babbo dei nostri ammalati».
Renzo Salvi queste cose le sapeva: per lui la vita di Tallinucci non aveva segreti ed aveva ben chiaro che il medico borghigiano apparteneva alla storia d’Italia. L’articolo che scrisse si apriva proprio con una «scena» dell’ultima guerra per l’indipendenza: la campagna del 1866, che vide il Tallinuccci, già in sii con gli anni, prestare servizio con un sacrificio spinto fino all’abnegazione. A Tallinucci, valentissimo chirurgo, fu affidato l’Ospedale dell’esercito garibaldino a Bergamo. Anche di quell’opera si ricordava Aurelio Saffi, il triumviro della Repubblica Romana, l’amico di Mazzini, quando inviava la sua adesione alle onoranze che Barga decretò all’illustre medico. «Il Tallinucci, scriveva Saffi, fu davvero nobilissimo esempio di virtù operosa e di costante armonia fra il sapere e l’esercitarne gli uffici a beneficio dell’umanità, tra i cimenti delle Patrie Battaglie, consacrando la scienza ai geni dell’Italia Risorgente ».
La stessa «dimensione nazionale » del personaggio Tallinucci era individuata dal giornale «II Progresso» di Lucca che alla notizia della sua scomparsa affermava: «La morte del dottor Tallinucci di Barga ha lasciato un vuoto nelle file della Democrazia Italiana e noi ne pian­giamo la perdita ». Ed « 27 Fulmine Secondo », altro giornale lucchese, annunciando sotto il titolo Sventura! Sventura! l’avvenuta morte del medico barghigiano scriveva: «La nostra Italia perde uno ad uno i suoi figli», collocando così la scomparsa del Tallinucci nello sfondo del malinconico tramonto dell’età del Risorgimento.
Quel giornale ci rivela anche la caratteristica dominante del Tallinucci, quella che, sicuramente, lo faceva apprezzare ancor di più da Renzo Salvi: lo spirito di umile dedizione alla parte più indifesa e più bisognosa della gente: Uno spirito francescano, che gli faceva rifiutare onori e ricompense, che pure gli vennero offerti, e gli faceva preferire la «piccola» Barga alle città dove si era diffusa la fama delle sue doti di chirurgo.
«Terminate le campagne, scriveva “Il Fulmine Secondo”, non volendo ricompense dall’attuale Governo perché per solo amor di patria Egli aveva servito l’Italia, se ne ritornò in Barga e visse modestissimo, senza chiedere favori e impieghi».
«La sua vita civile, è Renzo Salvi che lo scrive, fu rivolta esclusivamente al soccorso morale e materiale del prossimo: istituzioni come la Fratellanza Artigiana, la Società dei Reduci, l’Ospedale di S. Francesco l’ebbero principale fondatore ed animatore; fu sotto la sua direzione che la Compagnia della Misericordia rifulse in opere benefiche ed in nobili imprese».
Renzo Salvi sapeva che le sue affermazioni erano attinenti al vero. «Benefattore dei poveri e dell’umanità sofferente», così lo definiva un’Ode composta in onore del dott. Tallinucci che venne pubblicata nel giorno in cui veniva inaugurato il monumento alla sua memoria. Ed il dott. Stagi, che vegliò sugli ultimi istanti della vita del Tallinucci, con queste parole lo presentava ai lettori dell’«Eco del Serchio»: «Fu un uomo che visse per l’umanità». E nell’orazione funebre, tenuta al cimitero di Sigliari, il dott. Stagi così ricordava l’attività di medico chirurgo del Tallinucci: « Egli non si arrestò davanti ad operazioni giudicate impossibili, perché rifiutate dai clinici più insigni. Egli operò ed ebbe la soddisfazione di splendidi risultati, di inattesi trionfi. La divina arte della chirurgia, divina perché ridonando la vita agli uomini raffigura quasi il più grand’atto della divina creazione, nelle mani del dott. Pietro Tallinucci ha reso alla società, alla famiglia, individui sani, che per essergli stata matrigna la natura, erano costretti a vivere infelici, straziati da mille tormenti, o a popolare le aride glebe di un camposanto».
Di un intervento chirurgico compiuto dal Tallinucci «Il Giornale di Barga», nel febbraio 1984, pubblicò l’interessante rievocazione curata dal dott. Mario Giannetti; di altre operazioni abbiamo le relazioni scritte dallo stesso Tallinucci che in diversi opuscoli riferì la storia e gli esiti dei suoi interventi. Difficilmente si sfugge alla impressione di essere di fronte a dei veri e propri miracoli. In ogni caso, è da dirlo, come miracoli l’intesero i concittadini del Tallinucci che giunsero a vedere in quel medico dal volto incorniciato da una gran barba, sempre pronto ad accorrere ove fosse un sofferente, un «santo» dei tempi moderni. E giudicarono la sua vita, dedicata alla lotta contro il male, come un munifico dono della divina Provvidenza. «O a noi dato da un Dio benefico», così iniziava quell’Ode che abbiamo già ricordato. Ed il dottor Stagi non si discostava da questa convinzione quando affermava: « Fu una di quelle figure splendide e spiccate che non onorano il solo paese ove nacquero, ma una nazione intera. Iddio fa nascere questi geni di quando in quando, degni di venerazione più che di amore, perché conso­lino la languente umanità».
Alla luce di questi giudizi si capisce perché la morte del Tallinucci fosse vissuta dalla gente del tempo come un lutto generale con scene di disperazione e di commozione che Barga non aveva mai visto. Riferiscono le cronache dei funerali: «Donne, uomini, bambini, tutti piangevano e tutti chiedevano ricordi di quell’uomo che in vita avevano amato. Chi chiedeva un poco di barba, chi capelli, chi un oggetto qualunque».
Conosciuta meglio la straordinaria vicenda umana del Tallinucci ci riuscirà più facile comprendere come fu possibile per il medico barghigiano stabilire una sincera e feconda intesa con il frate cappuccino padre Bernardino nel pur breve periodo che questi rimase alla guida della Chiesa di Barga. C’era al fondo dei due personaggi un’ispirazione che li accomunava: portare aiuto all’umanità sofferente. E da questa intesa, un vero e proprio miracolo per un’epoca lacerata da divisioni politiche e ideologiche, nacque il primo nucleo dell’Ospedale di San Francesco, che fu anche il primo evidente segno della modernizzazione della vita locale. Era l’inizio di una nuova storia, che appartiene alla « generazione garibaldina », alla generazione dei Tallinucci, dei Mordini, dei Salvi, dei Santi, dei Rondina, dei Gherardi, che combatterono per la libertà e l’indipendenza dell’Italia ed operarono perché la loro comunità si avviasse lungo la strada del progresso. L’Ospedale, e cioè il luogo ove si può vincere il male, sta dentro questa storia. Ed è significativo che la sua origine stia nell’anno della Grande Speranza, in quel 1848 che fu salutato come «la primavera d’Europa», che produsse cambiamenti anche nel « piccolo mondo » di Barga. «W Pio IX. 1848», era scritto sul muro di una casa che si affacciava lungo la strada che porta a San Francesco e quella scritta, visibile fino a pochi anni orsono, stava lì a ricordare l’entusiasmo dei barghigiani di quei tempi per i sommovimenti che sembravano preparare l’avvento dell’Italia unita. Era questo il /clima che propiziò l’arrivo di padre Bernardino che, secondo l’insegnamento del Poverello di Assisi, andò alla ricerca degli «uomini di buona volontà» senza badare a quale colore questi appartenessero.
Una vicenda questa, ricca di insegnamenti sempiterni: il bene genera il bene. E la vita di Tallinucci è stata una gran semina di bene.
Lo sapevano i barghigiani del suo tempo che lo riconobbero come il loro « protettore». Lo sapevano i barghigiani che avevano lasciato il loro paese e si erano avventurati per le città della Francia, della Germania, della Gran Bretagna e quelli che avevano varcato l’Oceano ed erano nelle due Americhe,
Il loro cuore era rimasto al paese natale, e ricordavano quel medico generoso che si era sempre mostrato premuroso e solidale. Ed alla sua morte, ovunque si trovassero, inviarono i soldi dai nomi affascinanti, dollari, sterline, pesos, scudi, franchi, marchi, fiorini, perché a quel medico fosse fatto il monumento.
Era così che questi «garibaldini della seconda generazione» entravano nella storia di Barga, mostrando di intendere bene i valori della civiltà progrediente. Ed una volta tornati a dimorare nella propria terra, dopo lunghe stagioni di lavoro, molti di coloro che avevano sottoscritto per Tallinucci, presero parte a quel movimento di rinascita democratica che avrebbe portato il comune di Barga all’avanguardia della Valle del Serchio.
Tutte queste cose il caro Renzo Salvi le sapeva bene. Nella sua grande saggezza non aveva certo bisogno di consultare carte e documenti per capire il senso vero della storia. Renzo aveva bene in mente il valore del messaggio di Tallinucci, perché con lo spirito era vicino al generoso medico, che oggi giustamente il volontariato barghigiano e della Valle del Serchio riconosce come padre spirituale. E questo messaggio, che non invecchierà mai, Renzo ce lo aveva affidato con quel suo accorato «Non vi dimenticate del dottor Tallinucci». Che voleva dire: non vi dimenticate della nostra migliore storia.
Adesso, mentre ci apprestiamo a dare inizio alle celebrazioni, possiamo ben dire che l’appello di Renzo Salvi non è andato perduto. Una straordinaria pagina di storia della nostra gente viene riaperta con la collaudata perizia di Antonio Nardini che, con questo volumetto, ha ripercorso la vicenda di una famiglia borghigiana. Una vicenda bene addentro la storia d’Italia: dalle prime eroiche e sfortunate lotte per l’indipendenza fino alle soglie del nostro secolo.
Un cammino di grandi conquiste. La nostra nazione l’ha potuto compiere perché ci sono state nelle città e nei borghi dell’Italia tante altre famiglie che, come i Tallinucci di Barga, sono vissute per adempiere al comandamento del bene generale. Che è il solo per il quale meriti di vivere. Ieri. Oggi. Sempre.
UMBERTO SERENI


PIETRO E GAETANO
La famiglia Tallinucci, stabilitasi in Barga molti secoli fa, godette tutti gli onori e gli incarichi che la comunità conferiva alle principali famiglie, come si rileva anche da un «attestato» rilasciato nel 1795 dalla stessa comunità.
Nel 1700 il casato si era diviso in due rami che, nel secolo successivo, facevano capo, l’uno ai fratelli Gaetano, Pietro e Luigi, l’altro al loro cugino Roberto.
Roberto, nato nel 1823 da Giulio e Santina Bicci da Lamporecchio, fu animato da grande spirito patriottico e nel 1848 si arruolò per combattere la prima guèrra di indipendenza.
Raggiunto il fronte lombardo, nella località «Grazie» di Curtatone, venne sottoposto ad un controllo medico e fu riformato per acuta miopia.
Riapertesi le ostilità nel 1849, non potendosi ripresentare tra i regolari, si arruolò nel battaglio­ne civico Francesco Ferrucci, uno dei tanti reparti costituitosi in Toscana, rimanendo a Firenze fino alla caduta del «Governo Provvisorio».
Battuto l’esercito piemontese, gli Austriaci penetrarono in Toscana onde pacificare lo Stato pri­ma del ritorno del Granduca.
Molti volontari, concentratisi a Livorno, difesero invano la città che fu presa dagli Austriaci dopo breve e sfortunata resistenza.
Roberto, che vi era accorso, venne catturato con alcuni capi della rivolta ed immediatamente fucilato l’undici di Maggio.
Con lui si estinse, nella linea maschile, questo ramo dei Tallinucci.
Gaetano, il maggiore dei tre fratelli, nacque nel 1819 a Barga da Antonio e Marianna Micheli di Vitiana.
Si laureò nel diritto civile e canonico, esercitando in Barga l’avvocatura ed il suo studio divenne il covo dei liberali più intransigenti dei quali fu il capo riconosciuto.
Repubblicano, come i fratelli, di carattere inquieto, fu un acceso anti clericale ed avversario im­placabile del Proposto Bientinesi, altrettanto deciso ed inflessibile nel sostenere il potere temporale del Papa.
Per le sue idee troppo accese e le azioni a volte sconsiderate, le autorità granducali non gli ri­sparmiarono forme di persecuzione fin dai tempi dell’università.
Nel 1843 partecipò, come membro al congresso degli scienziati tenutosi a Lucca, ove discusse l’arduo problema dei penitenziari e sostenne l’abolizione della pena di morte.
Nel 1848, con i fratelli, si impegnò per far insorgere la Garfagnana, portandovi la rivoluzione insieme ad altri giovani insorti e proclamando, in Castelnuovo, il Governo Provvisorio.
Costituitosi l’anno seguente in Barga il Circolo Politico Popolare, ne divenne Vice Presidente e svolse importanti missioni per il Comitato Rivoluzionario di Firenze.
Terminata la prima guerra 1848-49 prese parte alle trattative per lo scioglimento della colonna dei volontari comandata dal Maggiore Petrocchi che aveva operato in Toscana e di cui aveva fatto parte lo storico barghigiano Pietro Groppi.
Durante la seconda guerra del 1859 si impegnò ancora, col fratello Luigi, per l’unione della Garfagnana alla Toscana e fece parte di una deputazione regionale che si recò a Torino dal Cavour per trattare l’annessione della Toscana al Piemonte.
Nel 1866 diresse, coi fratelli, il locale Comitato di Azione per l’invio di volontari barghigiani al fronte e l’anno seguente, dal suddetto Comitato Centrale fu inviato in casa Tallinucci il Tenente ungherese Luigi Parchk onde preparare di nascosto e consegnare munizioni per l’impresa garibaldina di Roma.
Sempre con i fratelli promosse la fondazione dell’Ospedale, della Fratellanza Artigiana, della Società Filodrammatica e, nel 1855, mentre infieriva il colera, si adoperò con zelo a favore dei sofferenti e per il trasporto dei malati al lazzeretto e dei morti al cimitero.
Fu scrittore fecondissimo ma prolisso, collaborò, dopo il 1859, con oltre quaranta giornali di estrema sinistra e dette alle stampe, dopo l’unità d’Italia, tre drammi di scarso valore letterario colmi di rancore verso i moderati, da lui considerati al pari dei reazionari.
Per noi Barghigiani sono invece di molto interesse le raccolte dei canti popolari e di costumi dei nostri montanari da lui pubblicate nel 1843 sulla rivista «La parola» di Bologna.
Scrisse una breve guida di Barga con cenni storico-artistici che venne pubblicata a puntate nel 1872 su «Il Corriere di Bagni di Lucca», settimanale edito per i villeggianti.
Ebbe contatti epistolari e fu anche amico di illustri personaggi contemporanei dei quali condivideva i programmi: Garibaldi, De Amicis, Dumas, Guerrazzi, Gustavo Modena.
In coerenza con le sue idee proletarie, l’avv. Gaetano si unì in matrimonio con Domenica Marchi, figlia del domestico di famiglia, ma non ebbe discendenti, si mantenne fieramente avversario dei moderati e dei clericali ma morì cristianamente nel 1879 nel palazzo al Pretorio.

LUIGI, IL PIÙ GIOVANE
Luigi Tallinucci, il più giovane dei fratelli, nacque in Barga nel 1825, ottenne il diploma di perito agrimensore e già nel 1845 si distinse durante il breve assedio di Rimini che era insorta chiedendo riforme al Papa Pio IX.
In questa occasione, appena ventenne, su incarico del fratello Gaetano, si recava in Garfagnana per ricevere aiuti in denaro da quel comitato, diretto da Iacopetto Pierotti, e consegnarli al comitato fiorentino che reclutava giovani da inviare in Romagna.
Nel marzo 1848, mentre Gaetano già si adoperava per l’insurrezione in Garfagnana, i volontari toscani al comando del colonnello Belluomini, raggiungevano Castelnuovo; alla guida di questa colonna si trovavano gli altri fratelli Luigi e Pietro che unitamente proseguiranno poi la marcia verso i campi di guerra lombardi che raggiungeranno però verso la fine delle ostilità.
Si iscrisse alla « Società Nazionale per la Confederazione Italiana » e nel novembre del ’49, dallo stesso Presidente Vincenzo Gioberti, ricevve l’invito a costituire una sezione nella nostra zona.
Nel 1859 partecipò nuovamente all’ insurrezione in Garfagnana inalberando il vessillo nazionale a Gallicano.
Fu tra i fondatori della Fratel­lanza Artigiana e nel ’64 ne divenne segretario.
Nel 1867 Luigi Tallinucci si arruolò volontario nella IIL compagnia del IX battaglione garibaldino sotto il nome di Luigi Pacchi e il 19 ottobre raggiunse il campo di Menotti onde prendere parte, col figlio dell’Eroe, alla liberazione di Roma.
Conclusasi tragicamente a Mentana la spedizione, Luigi si stabilì a Bologna in cerca di un’occupazione che, malgrado le racco­mandazioni del Mordini, non trovò, in una città che già ospitava centinaia di profughi della spedizione romana.
Visse qualche mese con l’aiuto che inviavano i fratelli da Barga ed impartendo lezioni private di ungherese, depresso moralmente e di salute malferma meditò persino il suicidio e progettò di espatriare. Morì invece nel 1868, a soli 43 anni, in Barga ove ebbe solenni funerali, presenti i reduci delle guerre d’Indipendenza, la banda cittadina, la Fratellanza Artigiana, la Misericordia, mentre il deputato Antonio Mordini pronunziò sul tumulo l’elogio funebre.

LA VITA E L’OPERA DEL DOTTOR PIETRO TALLINUCCI
Pietro nacque nel 1820 e rimase ben presto orfano del padre Antonio, morto nel 1825 che lasciò alla vedova il duro compito di crescere i figli nel decoro acquisito nei secoli dalla famiglia.
Per l’eccessiva prodigalità sua e della madre e per ragioni che ci sfuggono, Antonio aveva venduto alcune proprietà terriere e successivamente nel 1823 cedette alla famiglia Nardi l’imponente palazzo Balduini nel quale abitava la famiglia Tallinucci.
La madre, donna energica e colta (faceva parte dell’Accademia Letteraria barghigiana) dovette provvedere con la propria dote al sostentamento e all’educazione dei figli.
Pietro frequentò l’Università di Pisa ma, per la sua attività politica e i sentimenti repubblicani, fu tenuto d’occhio dalla polizia del Granduca e, allontanato da quell’Ateneo, dovette continuare gli studi a Siena ove si laureò in medicina e chirurgia nel 1844.
Nel 1848 giunse a Barga Padre Bernardino da Siena, in sostituzione del Proposto Bientinesi, trasferito altrove perché troppo accesamente contrario alle nuove idee che andavano maturando nel paese.
I fratelli Tallinucci s’intesero subito col dinamico Vicario del Proposto e con altre pie persone nel progettare la creazione di un Ospedale nei locali del soppresso convento di San Francesco, che difatti fu realizzato nella primavera del ’49.
Nel frattempo il dott. Pietro, col fratello Luigi aveva preso parte alla campagna del 1848 e, alla ripresa delle ostilità l’anno seguente, con l’avvocato Gaetano svolse importanti missioni per il Governo Provvisorio.
Gli Austriaci, battuti i Piemon­tesi, dilagarono in Toscana ed i fratelli Tallinucci nell’aprile do­vettero fuggire tempestivamente da Pisa rifugiandosi sulle montagne di Barga. Dopo le dure repressioni effettuate dagli Austriaci a Livorno, si sparse la falsa voce che anche a Barga sarebbero stati arrestati i patrioti più in vista.
Paventando questa terribile eventualità il cuore della madre, Signora Marianna, già provato da tante sofferenze, non resse e cessò di battere nel giugno seguente.
Negli anni che seguirono la pri­ma guerra d’Indipendenza, nella casa dei Tallinucci funzionò un comitato per aiutare i profughi politici, ricercati dalla polizia.
Attraverso i sicuri passi delle montagne, guidati da Barghigiani, molti patrioti, alcuni dei quali ebbero poi alti impieghi nel Re­gno Italico, raggiungevano generalmente Sarzana ove un altro Comitato provvedeva a farli giun­gere in Piemonte.
Il Dott. Pietro fu medico con­dotto in Barga, finché visse, ma la sua fama fu dovuta principalmente agli interventi chirurgici effettuati, spesso con successo, su pazienti in condizioni disperate.
Per l’amore che nutrì sempre verso il paese natio e l’Ospedale, di cui era stato fervente promo­tore, rifiutò le più lusinghiere of­ferte che gli pervennero da più parti.
Per il suo filantropismo, per lo zelo dimostrato durante l’epidemia colerica nel 1855 godette la stima dei concittadini anche nel decennio 1849-1859, periodo in cui, per la sua attività politica e militare, era inviso ai reazionari che detenevano il potere.
Nel 1859 il medico Tallinucci non partecipò direttamente alla seconda guerra di indipendenza che il Regno Sabaudo combatteva, alleato alla Francia, ma si adoperò affinché la Garfagnana si distaccasse dagli Estensi, unendosi alla Toscana e pronunciarsi poi per l’unione al Piemonte.
Il sei di giugno, Mordini e il Dottor Pietro, presentati dal garibaldino Giorgi di Bagni di Lucca, si recarono nella cittadina termale ad ossequiare il Colonnello Jonnes, comandante del distaccamento francese ivi di stanza ed insieme concordarono una manifestazione patriottica in Barga, presenti le truppe alleate.
Gli ospiti dovevano essere accolti con tutti gli onori, la banda musicale, della quale il Tallinucci era presidente, si sarebbe mossa ad incontrare le truppe, sennonché una pioggia torrenziale impedì che la festa avesse luogo.
Nel 1860 i fratelli Tallinucci dettero vita in Barga al « Comitato di Provvedimento Garibaldi » sorto in tutta la penisola per aiutare, con uomini e mezzi, la spedizione garibaldina in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia alla quale presero parte i nostri patrioti Vincenzo Rondina e Ferdinando Santi.
Nel settembre 1861 ebbe luogo in Firenze il Congresso delle Società Operaie di Italia, a rappre­sentare la Fratellanza Artigiana di Barga furono eletti l’Avvocato Gaetano Tallinucci ed il valente scultore in legno Tommaso Guidi, mentre al congresso, che due anni dopo si effettuò a Parma fu eletto il Dottor Pietro il quale nel ’65 rappresentò nuovamente, con il labaro, la Fratellanza invitata allo scoprimento della statua intitolata a Dante in piazza S. Croce
La Fratellanza artigiana discusse e poi approvò 62 e 63 lo Statuto dell’Associazione eleggendo suo Presidente onorario Giuseppe Garibaldi e Presidente effettivo Pietro Tallinucci.
Nel maggio 1866 il fecondo romanziere francese Alessandro Dumas che aveva seguito Garibaldi nella spedizione in Sicilia, visitò Barga e fu ospite in casa Tallinucci; nel frattempo si riaccesero le ostilità fra il giovane Regno di Italia, alleato della Prussia, e la Austria ed il dinamico Dottor Pietro il 23 maggio si presentò alla Commissione di Lucca per essere arruolato e difatti, dieci giorni dopo, venne nominato, con Decreto reale, medico chirurgo del 10° Reggimento Volontari Garibaldini di stanza a Barletta, città che raggiunse, pieno di entusiasmo, il 6 giugno, dopo due giorni di massacrante viaggio per strada ferrata.

LA GUERRA DEL 1866
A Barletta era stanziato in addestramento anche il 9° reggimento nel quale militava l’Avvocato Salvo Salvi, da poco laureato.
Alla terza guerra di Indipendenza parteciparono, non solo molti coscritti barghigiani, arruolati nell’esercito regolare, ma anche una pattuglia di ferventi patrioti volontari fra le Camicie Rosse.
Oltre ai già citati vanno ricordati Emilio Giuliani, il giovane studente Antonio Baldi che, prima di emigrare in Argentina, fu poi medico presso il nostro Ospedale, Ferdinando Santi, reduce della campagna nel Regno Borbonico, il prode Sergente Vincenzo Rondina, uno dei « Mille ».
Il dottore barghigiano, per l’anzianità ed il prestigio di cui gode­va era considerato il padre dei vo­lontari locali difatti così scriveva al fratello: … leggerai la presente alla famiglia di Emilio Giuliani e gli dirai che esso è nel mio reggimento, che sta benissimo. Tutti i Barghigiani stanno bene, Baldi è nel corpo sanitario, sta bene. Salvo pure è in buona salute, fai sapere alla sua famiglia che vivino tranquilli giacché non lo perderò mai di vista
Ai primi di luglio i due reggimenti, lasciata Barletta, raggiunsero il fronte scontrandosi con gli Austriaci nel Trentino e nel Ti-rolo.
Particolarmente sanguinoso fu il vittorioso scontro di Bezzecca nel quale fu duramente impegnato il 9° reggimento e durante il quale millecinquecento Camicie Rosse furono messe fuori combattimento.
A seguito dell’infausto armistizio tutta la Regione occupata dai Garibaldini fu sgombrata ed il 10° Reggimento si ritirò prima a Gargnano, sul lago di Garda, quindi a Brescia mentre il chirurgo Tallinucci, con il grado di Capitano, fu destinato presso l’Ospedale militare di Bergamo.In quell’Ospedale, coadiuvato da Antonio Baldi, che aveva espressamente richiesto presso di sé, curava quattrocento Garibaldini feriti e ammalati.
Rispondendo da Bergamo il 29 di agosto, al fratello Gaetano, il Dottor Pietro così scriveva: … tu mi consigli di chiedere un permesso, non abbandonerò i miei compagni d’armi e non mi distaccherò da questo luogo di dolore fino a che Vultimo Garibaldino non sarà partito
Con il 1866 ebbe termine l’attività militare di Pietro Tallinucci che, per il resto della vita, continuò la sua encomiabile opera, non solo di chirurgo, e quindi strettamente professionale, ma, emergente nel campo sociale, politico, assistenziale, educativo e cultura­le al servizio del Paese.

L’« UOMO BUONO » DI BARGA
Colto, intelligente, largamente dotato di una eloquenza tribunizia che affascinava l’uditorio, promosse valide iniziative, fondò e diresse associazioni che ancor oggi sussistono e danno lustro alla nostra città.
Attuando il precetto della divina carità fu più volte Governatore dell’Arciconfraternita di Misericordia, la più antica istituzio­ne barghigiana, impegnandosi nel proporre e risolvere ardui problemi.
Per tenere alti i valori risorgimentali, il sentimento del dovere e l’amor di patria fondò nel 1878 la « Società Reduci delle Patrie Battaglie », di cui fu il primo Presidente.
Fu promotore di un’associazio­ne progressista e, per l’istruzione dei cittadini, di una biblioteca po­polare circolante che, osteggiata da molti, non ottenne i risultati sperati procurando al Dottor Pie­tro delusione e amarezza.
Si deve principalmente a lui, alla sua popolarità, al suo carisma se Barga innalzò uno dei primi monumenti a Garibaldi, il temerario condottiero, al quale il chirurgo – soldato ebbe l’onore di stringere la mano nella campagna del 1866.
Frattanto, col trascorrere degli anni, il « Pio Ricovero degli Infermi », perdeva la fisionomia del lazzaretto per assumere quella di un vero e proprio, sia pur modesto, ospedale.
Il continuo progresso fu dovu­to al sostegno costante delle associazioni paesane, del popolo e delle migliori famiglie: i Pistoia, Menchi, Giannetti, Bertacchi, Mordini, Pieracchi, Guidi spronate sempre dallo zelo dei fratelli Tallinucci e principalmente dal chirurgo Pietro che, indefessamente per decenni, vi profuse tutto il suo amore e la sua alta professionalità perfezionata sui campi di battaglia.
Allorché nel 1854 la « Congregazione del Pio Ricovero » decise di promuovere la riforma del regolamento, essa prevedeva, così come per Padre Bernardino, un elogio personale al Dott. Tallinucci, per l’opera di promozione svolta, da scriversi all’inizio del Titolo II: « Medici e Chirurghi ».
Il generoso Dott. Pietro per il rispetto che nutriva verso i colleghi e per l’innata modestia chiese, ufficialmente, al Presidente che l’elogio ed il suo nome fossero tolti dai capitoli stessi e così av­venne.
La sua morte, avvenuta nel 1884, gettò nella costernazione la comunità, privata di un uomo che aveva dedicato ogni sua attività al servizio degli altri e che fu l’alfiere del volontariato barghigiano esplicato in ogni sua possibile forma.
La triste notizia si sparse rapidamente nei centri e nelle campagne dell’intera vallata, valicò l’Appennino raggiungendo gli abitanti del versante Modenese che spesso erano ricorsi all’opera dell’illustre chirurgo.
Barga si vestì a lutto preparandosi ai funerali, che furono imponenti per la partecipazione di una fiumana di popolo, dei rappresentanti di civiche amministrazioni, di associazioni operaie, filodrammatiche, ricreative delle fratellanze, dei reduci, delle logge massoniche, dell’Ospedale, della stampa, delle bande musicali, dell’Arciconfraternita di Misericordia che volle rendere omaggio al suo ultimo Governatore con la massiccia presenza dei confratelli.
Il corteo funebre attraversò le principali vie di Barga raggiungendo il cimitero di Sigliari, ove l’Avv. Salvo Salvi ed il Dott. Stagi pronunciarono l’orazione funebre.
Si costituì un comitato, per erigere una memoria al compianto concittadino, sotto la presidenza onoraria di Antonio Mordini e quella effettiva di Egisto Piacentini e si pensò di collocare una targa commemorativa con il ricavato di una sottoscrizione popolare.
Dal capoluogo, dalle frazioni della montagna e del piano, dalla Garfagnana, dal Coreglino, dalla Val di Lima giunsero le prime sottoscrizioni alle quali si aggiunsero quelle di Pieve e Sant’Anna a Pelago, di Campiglia Marittima, di Lucca, Livorno, delle Società Operaie, di singoli garibaldini.
Si studiò allora di erigere un busto, ma gli aiuti continuarono a giungere spontanei, numerosi, commoventi e si decise infine per un monumento più imponente di quello già realizzato, ma non an­cora inaugurato, al « Duce dei Mille ».
Le comunità barghigiane di Parigi, Colmar, Amburgo, Stoccarda, Herford, Somerset, Dundee, Man­chester, Glasgow, Londra inviarono somme cospicue.
Si associarono alla nobile iniziativa i Barghigiani emigrati negli Stati Uniti residenti a Richmond, Baltimora, Saint Paul Minn., Memphis, Providence, Newbedford, Chicago, Boston, Clevezand, Nashville, Pawtuchet e quelli del Sud America a Callao, Santiago, Buenos Aires, Estacò de San Pedro, Paranà.
Il monumento, fregiato dello stemma civico, fu poi posto nei « pradetti » fuori Porta Reale ed inaugurato solennemente il 26 giugno 1887.
Pietro Tallinucci, medico, patriota, filantropo, ebbe così in morte, dai suoi concittadini ed estimatori, quel tributo di affetto, quei doverosi riconoscimenti che nella sua francescana umiltà non volle gli fossero esternati in vita.

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