Antonio Mordini (Barga 1819 – Montecatini 1902) fu un patriotta e politico italiano di non comune spessore. Prima Mazziniano, poi fedele collaboratore di Giuseppe Garibaldi nella comune volontà di un’Italia unita e indipendente dal giogo straniero, per quell’alto ideale coltivato sin dalla giovinezza cospirò e fu proscritto e costituito nel 1861 il Regno d’ Italia di Vittorio Emanuele II fu tra i primi parlamentari e dei più stimati. Tutta una somma di importanti credenziali che gli valsero la considerazione di “Statista” e nel 1896, dopo vari rifiuti del Mordini (governi Lanza e Sella), per “desiderio universale” e con le motivazioni che seguono, dovette accettare la nomina a senatore a vita voluta dal presidente del Consiglio Crispi: “Mi scomunichi… ma non privi il Senato dell’ opera sua. Sarebbe un profondo dolore per tatti e una vera amarezza per S. M. 0 Re”.
Durante la sua intensa vita ebbe occasione di conoscere tantissime e diverse persone e da utti fu sempre riconosciuto e venerato come uno dei padri fondanti F Italia, anche se col tempo, così come accade nelle cose del Mondo che tutto passa, F aura che lo cingeva andava viepiù scemando, specialmente dopo la conquista di Roma del 20 settembre 1870, tempo in cui F Italia man mano iniziò a lasciare dietro di sé il tempo degli eroi e degli ideali e per dirla con Benedetto Croce “dalla poesia si passa al periodo della prosa”.
Di quanto si stava figurando il Mordini, politicamente e umanamente ne avvertì il disagio e poi la delusione, perché con quel cambiamento, un poco alla volta si andavano dimenticando e peggio tradendo quegli ideali liberali per cui aveva lottato, in cui le aspirazioni del popolo ad un futuro migliore trovavano il loro maggiore auspicio. Sentiva e sapeva che tutto non era compiuto. Poi nel 1872 scompare Mazzini, nel 1878 Vittorio Emanuele II e infine nel 1882 il tanto amato Garibaldi. Guardandosi attorno e’ era da sentirsi sgomenti, anche perché tali perdite, sia pur nelle diverse visioni-politiche, evidenziavano e facevano ognor sempre più presente il declino di quella forte idea che aveva animato anche il popolo, quella vicenda ideale ed eroica che si permeava anche del riscatto del popolo stesso da un’ antica e opprimente impotenza di fronte al muoversi delle cose che finivano sempre per interessarlo direttamente.
Con questo stato dell’ animo Mordini stava vivendo gli ultimi anni della sua vita, condotta tra la sua Barga, Montecatini, ove si recava nel periodo estivo ospite dell’ illustre clinico Pietro Crocco e Roma, ospite della famiglia Mastrocinque nei periodi della sua attività politico-parlamentare. Comunque i giorni erano pur sempre all’ insegna del suo costante, dovuto e doveroso I impegno politico. Fortemente dava il suo importante contributo alla vita amministrativa di Barga, del quale era il “nume tutelare”. Lucca invece lo sentiva il suo “genio tutelare”, vicinissimo e solerte a tutti i suoi interessi. In Parlamento si sperimentava ancora la sua I capacità politica nel 1893, ponendolo a capo della commissione parlamentare che sciolse il nodo del gravoso scandalo della Banca omana. Ma su tutto gravava quel disagio di sentirsi in un tempo che non era il suo.
Solo nella verde Valdinievole, ove vi si recava nel periodo estivo, aveva occasione di tornare con tutto il cuore agli ardori giovanili, così pieni di intemerato slancio per la Patria; da riscattare allo straniero.
L’ occasione gliela forniva la contemporanea presenza ai Bagni di Montecatini di Giuseppe Verdi (1813-1901), di lui più vecchio di sei anni, il quale si narra che amasse recarsi in quella località non tanto per fare la cura delle acque, bensì perché ritenuta un’ isola felicemente lontana dalla seccatura degli impresari teatrali, anche se il Maestro veniva ritratto ai Bagni a passeggio con 1′ editore Ricordi. Aneddoticamente circolava anche la voce che Verdi facesse finta di berle quelle acque, ma erano e restano pure storielle, perché se le sorbiva lentamente e tranquillamente mattina e pomeriggio; tra l’altro ad esse conferiva il merito della sua longevità.
Mordini, ospite dell’ illustre clinico e scienziato Pietro Grocco (1856-1916), non mancava a quegli appuntamenti estivi e alla Locanda Maggiore di Napoleone Melani, Verdi, Grocco e Mordini formavano la gloriosa trinità: l’arte, l’idealità patriottica e la scienza. Pietro Grocco al momento degli ultimi istanti di vita dei due amici: Verdi nel 1901 e Mordini nel 1902, fu presente al loro capezzale nella disperata speranza di un estremo soccorso della sua scienza.
I Mordini e Verdi si erano conosciuti in gioventù, così ci narra il noto pubblicista lucchese Carlo Paladini (1861-1922) nell’ articolo “Verdi in Valdinievole” per una “Gazzetta Musicale di Milano” del 1899: “Ebbi l’onore di accompagnare il maestro da Montecatini a Pistoia…. Durante il tragitto mi raccontò come aveva conosciuto Mordini da giovane e in quale modo erano rimasti tanto amici: e mi pregò di salutarglielo tanto. Mandai il saluto a Mordini il quale mi rispose: fate sapere al, grande Maestro che il suo saluto è stato per me una grande consolazione!”
Quell’ anno Mordini non si era recato a Montecatini e “Verdi è rimasto molto dispiacente…. di non aver potuto godere la compagnia del suo grande amico”.
Carlo Paladini ci ricorda in un precedente articolo: “La musica ai Bagni di Montecatini” apparso sempre su una “Gazzetta Musicale di Milano” del 1896, che il tipo di rapporto trail Grande Vecchio e il Patriotta era basato essenzialmente su quel fiume di memorie risorgimentali facenti capo ai dolori dell’ anima e ai turbamenti di viva passione per l’Italia! una e indipendente come alla fiammata nazional-popolare del 1848-49. Nel 1861 furono deputati al primo parlamento del Regno d’Italia.
Erano questi i ricordi tanto cari all’ uomo politico Mordini, che anche lui in Verdi, oltre all’amico, vi ravvisava il profilo di Mazzini, lo sguardo del Generale Garibaldi e la bonomia di Vittorio Emanuele, specialmente ora che non erano più tra loro.
A testimoniare dell’interesse che suscitavano quegli incontri estivi ci resta una foto che ritrae il Maestro e il Patriotta, con altri amici, seduti ad un tavolino della Locanda Maggiore di Melani intenti ad una discussione. Intorno tutto un nugolo di curiosi, pensiamo attratti soprattutto dalla presenza di Verdi, senza dimenticare che la figura di Mordini aveva pur sempre il suo fascino di venerando uomo politico, tra gli ultimi dei tempi eroici, carico di non comuni glorie risorgimentali.
Dal libro “Interviste e incontri con Verdi” di Marcello Conati, edito a Trento nel 1980 dalla Lito Velox, stralciamo la cronaca di uno di quegli incontri, che lo stesso autore riprese da un articolo del romagnolo Jacopo Zennari: “Un incontro con Verdi a Montecatini”, apparso su una “Nuova Antologia” del 1906. Così lo Zennari: “A me in parecchi anni, che fui alla cura di quelle acque, non era mai stato dato di incontrarmivi col più illustre e popolare frequentatore, ma finalmente potei combinare di trovarmivi nello stesso tempo; e dai miei amici prof. Pietro Grocco e Antonio Mordini, intimi suoi, me gli feci presentare. Non era il Verdi punto espansivo; severo di aspetto, parco di parole, schivo della folla e del rumore, stava molto appartato… Sul finire dell’ agosto 1898 (Conati corresse a periodo di tempo con sul finire di luglio, perché dagli studi effettuati sulla biografia del Maestro non poteva essere altrimenti) mi trovava anch’io a quella tavola rotonda; e più vicini a lui, oltre Teresa Stolz (sic) già celebre cantante e sua indivisibile compagna e Giuseppina Pasqua la insuperabile interprete dell’ Aida, stavamo Grocco, Mordini ed io. Non ricordo come il discorso s’avviasse sulla musica, o per meglio dire sulle opere teatrali, argomento sul quale il gran maestro non amava conversare. Quel giorno fu una vera eccezione.
Franchetti ha molla scienza, egli diceva; ma Puccini lo vince in genialità e teatralità. Vedete? Franchetti ha ricusato la Tosca, dalla quale Puccini saprà trarre un gran partito; e m è incapricciato dei quel Monsìeur de Pourceaugnac, dal quale neppure Domeneddio saprebbe tirar fuori una discreta opera teatrale.
Qui fece pausa e Mordini riprese a dire: abbiamo altri maestri che oggi compongono applauditi pei teatri…; e siccome il maestro taceva io mi avventurai a dire rivolto a Mordini: Sì, ma nessuno ha scritto ancora una grande opera. – E che cosa intende Lei per grande opera?- non saprei; ma, per esempio, il Nabucco. – Ah! me ne sono scandalo, replicò egli con un accento che pareva di soddisfazione… Quel giorno Verdi era in vena. Noi cercavamo tener vivo il discorso: Mordini gli diceva, che egli e i suoi coetanei avevano amato vedersi raffigurati in Ernani, amante cospiratore e proscritto: il maestro parve poi intrattenersi volentieri sui ricordi egiziani dell’Aida….”.
A Mordini, al di là del contenuto di quell’ncontro all’ impronta dei giovanili entusiasmi a cui faceva da colonna sonora la trascinante musica verdiana, un argomento che riprese nell’ articolo in memoria di Verdi: “Musica e patriottismo” per una “Rassegna Nazionale” del 1901, senz’altro rimase impresso l’autorevole elogio del Grande Vecchio al suo giovane conterraneo Giacomo Puccini, che dopo lo strepitoso successo di “Boheme” ora era intento a musicare “Tosca”, un dramma che già stuzzicava la mente del Patriotta per i saputi riferimenti ad un periodo pre-risorgimentale dell’ Italia.
In quel 1898, anno dell’ articolo dello Zennari, il soggetto della “Tosca” di Puccini era già noto, perché il libretto per 1’opera era stato tratto dall’ omonimo dramma teatrale del francese Victorien Sardou, che rappresentato con gran successo e vasta eco per la prima volta a Parigi nel non lontano 1887 ora trionfava in tutti i teatri d’ Europa. Ma c’è di più, perché il 30 marzo del 1897, la Tosca di Sardou giunse anche al teatro del Giglio di Lucca, la cui messa in scena fu divulgata con la distribuzione tra il popolo di un volantino di presentazione in cui si annunciava: “Dramma che sta musicando l’illustre Maestro Commendatore Puccini”. Una particolarità che ci porta a credere che Mordini, così fortemente addentro alle cose di Lucca, avesse partecipato a quell’avvenimento o che almeno ne fosse stato più che informato, perché in quella prosa c’erano dei chiari riferimenti ai primi moti del nostro Risorgimento, come detto, un argomento che animava man poco il Patriotta, quindi da non perdersi.
Nel gennaio del 1900, al teatro Costanzi di Roma, si ebbe la prima della “Tosca” di Puccini e certamente a Mordini nell’ apprenderne il successo, anche se non della critica, saranno tornate alla mente le parole di Verdi di due anni prima: “…Tosca, dalla quale Puccini saprà trarre un gran partito”. Ma forse, al di là della maestria di Puccini, lo stimolava maggiormente la trama dell’ opera, quell’ ambientazione al tempo della Repubblica Romana caduta per mano dei Borboni napoletani agli inizi del 1800, i cui sostenitori ora languivano nelle carceri del Castel Sant’Angelo, anzi uno di essi era riuscito a scappare: Cesare Angelotti, che all’inizio di “Tosca” si vede entrare trafelato e spaurito nella chiesa di Sant’ Andrea della Valle dove il pittore Mario Cavaradossi stava dipingendo su di un palco 1’affresco di una Madonna.
La storia dell’amore tra Mario e Tosca poteva anche interessarlo, ma quel dramma di Sardou, che conteneva tanti riferimenti al suo antico stato di cospiratore, proscritto e fuggiasco, ora trasformato in un’ opera lirica per mano di quell’ applaudito musicista e suo giovane conterraneo, bisognava lo vedesse sulle scene nell’avvincente fascino che la musica accorta del Maestro lucchese si prevedeva sapesse conferire a quella prosa; ne sentiva prepotente il desiderio per rivivere la sua gioventù, ripetere mentalmente gesta, ansie e dolori, che se non furono per sua fortuna quelli di Mario, vi si accostavano per sentimento e turbamenti.
Ovviamente quel suo stato dell’ animo avrebbe voluto condividerlo anche e soprattutto con l’autore, che con quell’ opera lirica rinverdiva le sue giovanili passioni verdiane, e l’occasione si ebbe con la rappresentazione dell’opera Tosca a Lucca. Infatti dopo Roma, sempre nel 1900, l’ opera ebbe varie rappresentazioni in Italia per poi approdare per il Settembre Lucchese al teatro del Giglio, facilitata nei costi per l’intervento di Giacomo Puccini presso la casa Ricordi proprietaria dei diritti.
Mordini da Barga così scrive all’ amico Alfredo Caselli di Lucca: Barga 3 agosto 1900 – Caro Alfredo, Pregoti farmi sapere, se ti sia possibile, il prezzo dei palchi al 1° o 2° ordine del Giglio per la serata di domenica prossima – venendo costì avrei molto piacere di far la conoscenza personale di G. Puccini. Saluti al babbo – aff. Antonio Mordini.
Dalla lettera si capisce che certamente Mordini andò al teatro del Giglio per la Tosca di Puccini, se poi ci sia stata la presentazione di Puccini al Mordini da parte di Alfredo Caselli o qualcosa di simile, non ne siamo a conoscenza. Ma se è pensabile che fosse avvenuta, senz’altro il tutto si concretizzò in una stretta di mano molto cordiale e negli apprezzamenti del Patriotta per la riconosciuta bontà dell’arte del Maestro, oltre ai vivi sentimenti di gratitudine per aver saputo rendere all’ Italia di allora una delle pagine del suo pre-risorgimento.
Tra Mordini e Puccini certamente rimase un semplice rapporto di pura conoscenza. Di ciò si ha conferma in una lettera che lo stesso Mordini scrisse ad Alfredo Caselli 1’8 febbraio 1901, con la quale gli rammentava 1’impegno di far porre la firma del Maestro su delle cartoline che gli aveva consegnato a nome della signorina Amalia Mastrocinque di Roma.
(Quando Mordini era a Roma per gli impegni parlamentari viveva, ospite di riguardo, presso la famiglia I degli amici Mastrocinque).
“Roma 8 febbraio 1901
Caro Alfredo,
Pascoli ti avrà dato le mie nuove, portato i miei saluti. Spero che anche il tuo ottimo papà e tu stesso starete bene malgrado la pessima. Adesso vengo a rammentarti l’impegno da te preso colla signorina Amalia Mastrocinque di pregare Giacomo Puccini d’ornare colla sua firma le cartoline illustrate ch’ essa ti mandò per mezzo mio. Questa non sarà certo impresa ardua per te che ti onori d’ essere amico dell’illustre Maestro, più che di Lucca stessa e sua provincia, vanto d’Italia…”
Pier Giuliano Cecchi
Barga – Agosto 2008
Dalla via che il Comune di Barga volle intitolata alla memoria di Giacomo Puccini nel 70° della morte, da me pubblicamente sospinta e auspicata quale dovuta attenzione di Barga nei confronti del Grande Maestro che amo di un dolce sentimento per le emozioni che suscita nel mio cuore.
Ringrazio l’ amico Cristian Tognarelli di Barga, prezioso collaboratore nella ricostruzione storica di diverse vicende del nostro Paese, che avendomi fatto conoscere le due lettere citate nel testo, oggi patrimonio del suo archivio, mi ha sospinto al presente racconto.
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