Storie di guerra in Garfagnana –
articolo pubblicato su: Rivista mensile Storia & Battaglie del dicembre 2007, copyright Editoriale Lupo,FI
Un alone di mistero avvolge le vicende che portarono alla morte del Capitano Italo Simonitti1, goriziano, trentottenne all’epoca della sua fucilazione, comandante della gendarmeria da Campo della Divisione Alpina “Monterosa” RSI.
Il suo, assieme a quello del Generale Bellomo (condannato e giustiziato per aver fatto uccidere un militare inglese che tentava la fuga), costituisce uno dei rari esempi di condanne capitali comminate dai tribunali militari alleati a guerra finita.
Simonitti era il Comandante della Gendarmeria da Campo, che assieme ai tre reparti di Polizia Militare della GNR, costituiva la Polizia da Campo della Divisione “Monterosa”, con compiti che andavano dal controllo dei reati militari alla sorveglianza delle retrovie e del movimento stradale dal fronte e verso di questo.
La Polizia da Campo della “Monterosa” annovera nel suo Albo d’Onore 14 Caduti e tre decorati al Valor Militare.2
Sul fronte della Garfagnana, operavano in connubio la Gendarmeria e la 1aSezione Mobile GNR, comandata dal Capitano Civetta, che a detta dei civili era un ufficiale a dir poco inflessibile.
I suddetti reparti erano alle dirette dipendenze del Comando di Divisione, retto dal Generale Mario Carloni.
Abbattimento ed uccisione del LTN Lyth
Le vicende che portarono alla fucilazione del Capitano Simonitti furono determinate dall’uccisione di un aviatore statunitense.
Il Pilota nordamericano, il 2nd LTN Alfred R. Lyth, del 66th Fighter Squadron, 57th Fighter Group, era stanziato presso la base di Grosseto, sede del 66th dal mese di settembre 1944.
Egli, il 6 febbraio 1945 volava ai comandi di un P47 Thunderbolt, in missione per la 12th Air Force che si occupava delle operazioni aeree tattiche3. Quel giorno i velivoli volavano nonostante il tempo fosse coperto ed appoggiavano nella Valle del Serchio l’offensiva “Quarto Termine” che la 92nd Divisione USA “Buffalo” aveva scagliato contro i reparti della “Monterosa” che venivano in quei giorni rilevati dalle truppe della Divisione Bersaglieri “Italia”, quindi in un delicato momento dal punto di vista logistico ed operativo. L’offensiva partita il 5 febbraio, si infranse definitivamente sotto i contrattacchi italo-tedeschi il giorno 11.
Il p47 del 2nd LTN Lyth fu abbattuto dalla contraerea tedesca nelle retrovie della Linea Gotica, a Caprignana (una frazione che si trova pochi chilometri a Nord di Castelnuovo Garfagnana).
L’ufficiale statunitense, azionò il paracadute, ma venne in seguito catturato e preso in consegna dalla Sezione GNR della Divisione “Monterosa” e fu portato a Camporgiano, dove si trovava il Comando di Divisione, ubicato nella Rocca Estense e provvisto di ricoveri sotterranei a prova di bomba, scavati appositamente nei mesi precedenti.
Lyth fu interrogato, poi l’8 febbraio, mentre stava per essere scortato al carcere, fu ucciso con un colpo di fucile alle spalle. La versione ufficiale fu che avesse tentato la fuga.
Lo storico Garfagnino Mario Pellegrinetti all’epoca ragazzino, viveva (e vive) a Camporgiano; egli ricorda: “Quanto alla sua morte i militari sostennero che gli era stato sparato durante un tentativo di fuga. In realtà era morto colpito da un solo colpo di fucile (il che esclude l’ipotesi di una fucilazione). Chi ha visto l’aviatore, però, sostiene che era claudicante a causa di un cattivo atterraggio col paracadute e che, in quelle condizioni, l’ipotesi di un tentativo di fuga appare quanto meno improbabile.
Per quanto ne so furono processati il Capitano Simonitti (che, però, in tempo di guerra tutti conoscevano come Simonetti), il Tenente Peruzzi e il Sergente Rossi.
Pare emergesse che il capitano Simonitti aveva fatto un gesto che fu interpretato come invito ad uccidere. Comunque l’uccisione avvenne durante il tragitto, a piedi, dagli uffici del comando dove fu interrogato al carcere mandamentale situato fuori dall’abitato. Come noto il Simonitti fu condannato a morte e ucciso, il Sergente Rossi fu condannato a una pena detentiva e il Peruzzi fu assolto in grazia di alcune testimonianze di gente del luogo (un uomo che faceva da interprete e due donne che lavoravano alla mensa ufficiali). Una di queste due donne fu sposata dal Peruzzi malgrado avesse già un figlio e hanno vissuto felicemente insieme fino alla morte di lui.
L’altra donna era la padrona della casa dove venivano confezionati i pasti per la mensa ufficiali. L’uomo era un impiegato comunale che essendo vissuto in Inghilterra fungeva da interprete. Ma ciò avveniva quando non era presente il Tenente Peruzzi che, parlando correntemente inglese, faceva lui da interprete quando era presente. E quel giorno, appunto, non era presente per cui fu chiamato come interprete il testimone che si chiamava Silvio Cardosi. E la sua testimonianza, insieme a quella delle due donne, fu determinante nello stabilire che quel giorno il Peruzzi era assente”.4
Processo ed esecuzione
A guerra finita il paesino di Camporgiano fu animato dall’insolito transito ed arrivo di automezzi che trasportavano una vera e propria squadra specializzata.
Tra la gente si era sparsa la voce che l’aviatore ucciso fosse nientedimeno che un parente del Presidente degli USA Harry Truman, come ricorda Mario Pellegrinetti: “Della vicenda dell’aviatore ucciso so che, a quanto si diceva, egli era nipote di Truman. E, in effetti, subito dopo il passaggio del fronte venne una squadra attrezzatissima che riesumò, riconobbe e portò via il cadavere. Io ho assistito all’operazione”.5
il Capitano Simonitti, il Generale Mario Carloni ed il Sergente Benedetto Pilon, che si trovavano già in prigionia a seguito della resa finale, furono processati presso la Corte Marziale USA che si riunì a Firenze dal 25 settembre al 4 ottobre 1946. Invece, non troviamo riscontro nei documenti del processo del Tenente Peruzzi e del Sergente Rossi: come ipotizzato da Pellegrinetti, sarebbero stati già prosciolti in sede di indagine.
La sentenza fu rivista e divenne esecutiva presso lo stesso tribunale il 13 gennaio 1947, venendo scagionato il Generale Carloni (degradato però a Colonnello) e ritenuti colpevoli il Capitano Simonitti ed il Sergente Pilon. Il solo Simonitti fu condannato a morte tramite fucilazione, mentre a Pilon venne assegnata una pena detentiva a vita, inviandolo ai lavori forzati al Campo d’Addestramento Disciplinare di Livorno del MTOUSA (Mediterranean Teather of Operation US Army).6
Il 27 gennaio 1946, in una fredda e nevosa mattina, il plotone di esecuzione statunitense si schierò alle 8.30 presso il poligono militare di Marina di Pisa (utilizzato ancor oggi dalle Forze Armate).
La scarica di fucileria non fece piegare le gambe al Capitano Simonitti che rimase eretto davanti ai soldati increduli.
L’unico italiano presente, il giornalista Ugo Zatterin, scrisse poi: “…un erculeo Maresciallo della Military Police americana ordinò l’intervento del plotone di riserva, per fucilare una seconda volta il condannato, che alla prima scarica non si era piegato sul palo, e, con gli occhi orgogliosamente schivi di benda, fissava ancora disperatamente il cielo”.7
Le spoglie del capitano Simonitti, nella vita civile dottore in chimica, riposano nel Cimitero suburbano di Pisa.8
Il tenente Lyth è sepolto invece nel Cimitero Militare Statunitense dell’Impruneta, presso Firenze; il rigore che venne usato contro Simonitti e lo spiegamento di mezzi operato per il recupero e per le indagini circa la morte del soldato statunitense, darebbero credito alla supposta parentela, se non con Truman, almeno con una influente autorità.
Però queste sono solo supposizioni, in quanto le ricerche svolte non hanno portato l’autore a trovare riscontro.
Considerazioni
Giudizi molto duri verso il capitano Simonitti sono stati espressi anche in anni recenti da vari ricercatori storici e anche da politici.
Voce isolata, la testimonianza di un comandante partigiano che desidera restare anonimo; egli, operante nella zona di competenza di Simonitti, apprese dall’autore di queste righe circa la sorte del Capitano, registrando sul viso una espressione di addolorata incredulità. Confermò l’espressione del volto affermando di essere dispiaciuto per la sorte dell’ufficiale e fece intendere che Simonitti almeno in un’occasione aveva anteposto la pietà al rigido senso del dovere, salvando la vita a qualche civile o chissà, forse proprio a lui .
Il Capitano Italo Simonitti seppe andare a morte con coraggio e fede nelle proprie idee. Se compariamo il suo sguardo nella foto del 1944 col Generale Carloni e quello del 1945 in tribunale, possiamo dire che nulla era mutato in lui, le sue convinzioni ressero la prova più ardua.
Tra i reduci della “Monterosa” questo è il pensiero comune, che si riassume efficacemente nelle parole di Iro Roubaud: ” Il capitano Italo Simonitti è caduto nell’adempimento del dovere”.
1 Alcuni hanno scritto “Italo Simonetti”, ma il cognome corretto era Simonitti, come si evince dagli originali della sentenza a morte e dall’albo d’Onore della Divisione Alpina “Monterosa”
2 “I Nostri Caduti noti ed ignoti” , Associazione Div. Alp. “Monterosa” , Milano 1999, pag.144.
3 Le operazioni strategiche erano invece compiute dalla 15th Air Force, che con la 12th Air Force, costituivano la MAAF (Mediterranean Allied Air Force).
4 Mario Pellegrinetti, lettera all’autore.
5 Mario Pellegrinetti, lettera cit.
6 ACTA dell’Istituto Storico della RSI n° 60, maggio-luglio 2006, pag. 12.
7 Oggi, Settimanale del 14 aprile 1951, pag. 15.
8 Notizie di Iro Roubaud in archivio storico Associazione “Monterosa” Milano, già pubblicate nell’omonimo bollettino.
Notizie sull’autore
Davide Del Giudice (nella foto in alto) è un giovane ricercatore storico è specializzato sui fatti d’arme che avvennero sulla Linea Gotica.
Ha collaborato alla mostra “Eserciti, popolazione, resistenza sulle Alpi Apuane”, tenutasi a Massa nell’aprile del 1994. Diversi suoi articoli sull’argomento sono stati pubblicati da riviste del settore. È nato a Montignoso (MS), dove risiede. Diversi i libri pubblicati.
Per contattarlo scrivete a davide_del_giudice@hotmail.com
Tag: Davide Del Giudice, Camporgiano, Linea Gotica, Processo Simonitti
Alex
6 Settembre 2019 alle 17:10
Nessuno sa la sorte del soldato Benedetto Pilon(non sergente,come si legge nel resoconto del processo in inglese),nato ad Arcole,provincia di Verona,il 28 luglio 1917.Avrà scontato tutta la pena?